di Giorgio Dusi
La cavalcata – breve – dell’Atalanta in Europa League difficilmente sarà dimenticata. Una città intera ha sognato con la squadra, ha visto i nerazzurri affrontare club europei di prima fascia. Ma tutto è finito presto, ai sedicesimi di finale, di fronte al Borussia Dortmund. I tedeschi partivano con i favori del pronostico, rispettati dall’esito finale dei centottanta minuti giocati tra il Westfalenstadion e Reggio Emilia. Eppure, i nerazzurri sono andati vicinissimi all’impresa prima di rovinarsi con le proprie mani. Se il diktat era “non avere rimpianti”, è successo l’esatto contrario. In quattro passaggi a vuoto, due per partita.
Nella gara d’andata sono stati gli errori di Toloi e Freuler a spalancare la porta prima a Schürrle e poi a Batshuayi. Palloni gestiti male in fase di possesso che hanno dato sfogo alle ripartenze delle Wespen. Distrazioni che potevano essere rimediate al Mapei Stadium, ma sono finite per essere invece acuite da altri errori. La poca lucidità di Gomez a tu per tu con Bürki prima, la papera di Berisha poi. E Schmelzer ha ringraziato, appoggiando in rete la palla che è valsa l’1-1 e la qualificazione.
Quattro passaggi a vuoto che sono i rimpianti dell’Atalanta in questo sedicesimo di Europa League. Perché si tratta errori non forzati, evitabili con un pizzico di freddezza in più. Momenti chiave che negli scontri a eliminazione diretta vanno gestiti meglio. Perché spesso, se non sempre, sono gli episodi a determinare il passaggio del turno. In Italia come in Europa. E gli episodi non dipendono dalla fortuna o dalla sfortuna. È questo il rimorso più grande dell’Atalanta: la consapevolezza di aver avuto tra le mani il proprio destino e di non averlo gestito nella maniera più giusta.
L’inesperienza in questi casi è determinante ed è soprattutto insindacabile se si parla di una squadra giovane come l’Atalanta, con pochi elementi che avevano calcato i palcoscenici internazionali prima di quest’anno. Ma quella stessa inesperienza doveva essere la forza, andava tramutata in entusiasmo e soprattutto voglia di stupire. E quindi determinazione. Quella che è mancata a Toloi e Freuler a Dortmund, quella che è mancata a Gomez e Berisha a Reggio Emilia.
La somma fa un totale triste e deludente. Un’eliminazione immeritata per quanto mostrato nel complesso, ma meritata per gli errori grossolani che l’hanno di fatto causata. E non c’è nemmeno tempo per l’uscita “a testa alta”, perché quando sono gli errori a condannare, diventa anche più difficile controbattere. Ma l’Atalanta riparte da una sicurezza: il percorso non è ancora finito. L’anno prossimo la Dea vuole ritornare, per prendersi la propria rivincita, prima di tutto su sé stessa. Ed è forse questa la cosa più importante, oltre che la principale lezione che Gasperini e i suoi hanno imparato.