CALCIO USATO: la politicizzazione del pallone sotto il regime fascista (1 parte)

Posted By on Mar 17, 2016 | 0 comments


di Massimo Fabi

 

Il calcio come strumento di propaganda di massa.  Benito Mussolini fu un attento osservatore della “Psicologia delle folle” teoria secondo cui il politico deve captare piaceri ed emozioni delle masse per trascinare. Il potere doveva quindi consolidarsi tramite la manipolazione delle passioni del popolo: una delle più importanti e diffusa era, appunto, il calcio.

Mussolini non rimase indifferente all’attività ricreativa più in voga negli anni ’20, sino ad allora monopolio di un nord Italia industrializzato da club come Genoa e Pro Vercelli.

Dopo la Grande Guerra il calcio conobbe un aumento del numero di persone coinvolte tra giocatori, spettatori, lettori di giornali, ascoltatori delle radio. L’ingerenza del fascismo rientrò nel disegno totalitario volto a ‘governare’ il tempo libero della gente e conferire grande importanza allo sport, inteso come sistema per arrivare al popolo e consentire una rigenerazione fisica e morale della ‘stirpe’ italiana. Nell’ambito di questa ‘rivoluzione’ concernente l’unione di sport e cultura, il calcio divenne un congegno propagandistico per ottenere consenso di massa verso il regime e creare un senso di identità italiana.

Il tentativo di favorire un’unificazione e costruire una ‘comunità nazionale’ si esplica anzitutto nella Carta di Viareggio del 1926, documento spartiacque del calcio nella penisola: su impulso di Lando Ferretti, il ‘triumvirato’ composto da Paolo Graziani, Italo Foschi e il presidente dell’AIA Giovanni Mauro elaborò le basi del professionismo in Italia e di un girone nazionale unico, abbandonando la disputa della finalissima tra la vincitrice della Lega Nord e quella della Lega Sud. La Serie A nasceva così nel 1929-1930, stagione che vide trionfare l’Ambrosiana  di Giuseppe Meazza.

La crescita del calcio italiano si manifesta in una generazione di grandi calciatori: ideale per conferire riconoscimenti al regime attraverso i successi sportivi a livello estero. Il calcio riproduceva al meglio l’idea di società organica in cui l’individuo si sforzava a servizio della collettività e del capo, ossia l’allenatore. Venivano dunque naturali le assonanze metaforiche con il soldato eroico che si cimentava sul campo di battaglia in nome della patria e del regime.  Vittorio Pozzo, il tecnico piemontese alla guida della Nazionale trionfante ai
Mondiali del 1934 e 1938 con medaglia d’oro ottenuta a Berlino nelle Olimpiadi del ’36  seppur mai iscritto al partito, conservò e fece sua la concezione patriottica e militaresca condivisa dal regime. E g
razie a campioni come Meazza, Schiavo, Orsi e Piola, gli anni ’30 costituirono l’apoteosi sportiva di una dittatura che tramite le imprese della selezione azzurra mirava ad acquisire onore e prestigio nel campo della diplomazia internazionale, oltre che compattare la nazione. (fine prima parte)

 

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