Storie di calcio, le squadre della DDR: la Dinamo Berlino (II parte)

Posted By on Apr 27, 2016 | 0 comments


di Massimo Fabi
 
I giocatori più rappresentativi di questa prima e ultima epoca prestigiosa furono il gigante Bodo Rudwaleit, portiere alto 2 metri e due cm, il difensore Frank Rohde, le punte Rainer Ernst, Frank Pastor e Andreas Thom, insieme ai centrocampisti Christian Backs e Thomas Doll, quest’ultimo futuro mediano di Lazio e Bari. Avrebbe potuto fare la storia della società anche il talentuoso regista Lutz Eigendorf, ma prima che la Dinamo vincesse il suo primo campionato, il ‘Beckenbauer dell’Est’ fece una scelta coraggiosa e pericolosa: quella di fuggire dalla Germania orientale per andare a vivere dall’altra parte del Muro. Scovato giovanissimo dalla Stasi, Eigendorf si affermò negli anni ’70 come stella promessa della Dinamo Berlino e della stessa Nazionale. Elegante regista davanti la difesa e in procinto di diventare colonna e idolo della formazione di Mielke, volle deviare questo destino rompendo con dittatura e mezzi non leali del proprio club: meglio la libertà ai titoli facili.
Il modo per aggirare il duro ostacolo della Stasi si presentò nel marzo del 1979 in occasione di un’amichevole giocata in territorio occidentale contro il Kaisersalutern e persa tra l’altro malamente per 4-1. Sedute collettive di ideologizzazione e minacce finalizzate a non tradire la causa comunista furono vane nei confronti di Eigendorf. Prima di salire sul mezzo che doveva far rientrare la Dinamo a casa, lui si dileguò dal gruppo prendendo velocemente un taxi: lasciava nel blocco orientale figlia e moglie, quest’ultima poco dopo convinta a divorziare e sposare un agente della polizia segreta. Non era la prima volta che un esponente del mondo del calcio si rendesse ‘rifugiato politico’ per militare poi nelle squadre dell’Ovest: l’atto ‘indegno’ era stato compiuto nel 1976 dal centrocampista Norbert Nachtweih e dal portiere Jurgen Pahl, i quali, approfittando di un impegno con la selezione Under 21 in Turchia, non avrebbero più fatto ritorno in patria abbandonando così la squadra di appartenenza, la Chemie Halle. Furono seguiti nel 1979 dal tecnico della nazionale giovanile, Jörg Berger, utilizzando come escamotage una partita in Jugoslavia.
upeBLNzc34f0azmwLRxPCAAAAAAElFTkSuQmCCEigendorf, dunque, in sé non fu un ‘rivoluzionario’, ma aveva l’aggravante di essere un tesserato della Dinamo Berlino, la società di Mielke, e si spinse troppo oltre con le parole. Dopo un anno di squalifica imposta dalla FIFA, militò due stagioni al Kaisersalutern e in seguito all’Eintracht Braunschweig non rispettando le attese tra infortuni e molta panchina: il calcio occidentale era semplicemente di un altro livello. Fece però qualcosa di molto più difficile rispetto a gol e assist: il 21 febbraio del 1983, in un’intervista fatta sotto al Muro di Berlino, parlò di scorrettezze e falle del sistema sociale e calcistico orientale invitando i giovani tedeschi dell’est a trasferirsi nella sana e libera Bundesliga. Fu la sua condanna a morte. Chiunque si poneva pubblicamente contro il regime, infatti, metteva a repentaglio la propria vita. Scoperto calcisticamente dalla Stasi, l’allora ventiseienne cadde vittima dello stesso Ministero. L’ex promessa del contesto socialista morì per incidente stradale nel mese successivo. Il caso fu archiviato per guida in stato di ebbrezza, ma dopo la fine della Guerra Fredda la verità sarebbe emersa da un documentario d’inchiesta del giornalista Heribert Schwan che avvalorava la tesi sostenuta anni prima dal collega Jochen Döring su una ipotesi di vendetta personale di Mielke: una sera due agenti infiltrati fecero assumere al ragazzo birra mista a veleno per poi imporgli di salire in macchina. Dopo uno schianto volutamente procurato, l’ex stellina morì il 7 marzo 1983…

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