Un Uomo, un Nazione: Jorge Luis Toro Sanchez

Posted By on Mag 27, 2016 | 0 comments


di Massimo Fabi

Jorge Luis Toro Sanchez. Un nome che a molti può dire poco, ma che passa alla storia per esser stato il primo calciatore cileno ad approdare nel campionato italiano, predecessore dei vari Hugo Rubio, Zamorano, Salas, Pizarro e Vidal. Nell’estate del 1962 questo centrocampista fantasioso, allora ventitreenne, veniva acquistato dalla Sampdoria sbarcando nel Bel Paese come stella promessa della Serie A dopo essersi messo in vetrina nel Mondiale giocato in casa propria. Era stato il torneo di Garrincha, trionfante con il Brasile orfano dell’infortunato Pelé, ma anche della famosa ‘battaglia di Santiago’ tra Cile e Italia del 2 giugno. Nonostante le condizioni di povertà e il terremoto devastante di due anni prima, il Paese andino ribadiva il suo impegno ad ospitare la competizione internazionale: puntando alla vittoria, i giocatori più talentuosi della Roja guidati dal c.t. Riera erano le ali Ramirez e Leonel Sanchez insieme al numero 8 Jorge Toro, campione di Cile con la maglia del Colo Colo nel 1960. Sin da giovanissimo, il ‘Chino’ aveva fatto innamorare il popolo cileno per come interpretava il calcio: un ‘volante’ di tecnica sopraffina, grande visione di gioco e capace di trovare con precisione i suoi compagni con lanci calibrati di 30-40 metri. Il piede destro dorato lo consacrò come uno dei simboli di quella nazionale che raggiunse il miglior risultato di sempre in un Mondiale, vale a dire il terzo posto.
Il percorso della selezione sudamericana ebbe come crocevia spartiacque la sfida al veleno con l’Italia, avversaria nel proprio girone: un incontro reso caldo in principio dalle forti rivelazioni dei giornalisti Corrado Pizzinelli e Antonio Ghirelli sulla situazione di sottosviluppo e degrado che la capitale Santiago attraversava in quei tempi. In un ambiente già di per sé ostile, ad infuocare il match dell’Estadio Nacional sarebbero stati i comportamenti violenti e non sanzionati del giocatore di casa Leonel Sanchez e la direzione da ‘due pesi e due misure’ dell’arbitro inglese Aston, reo di gestire malissimo un incontro sporcato da pugni, calcioni e risse: contro la formazione azzurra rimasta in nove per i rossi diretti inflitti a Ferrini e David, il Cile nell’ultimo quarto d’ora riuscì a prevalere grazie al vantaggio siglato da Ramirez e alla conclusione perfetta da fuori area di Toro, con la palla che si insaccava nell’angolo basso alla sinistra del portiere Mattrel. La prodezza del regista di Santiago condanna definitivamente l’Italia all’eliminazione, mentre il Cile avrebbe superato anche l’URSS nei quarti di finale. Alle semifinali la selezione cilena incontrava il Brasile: troppo superiore la compagine verdeoro trascinata da Garrincha e Vavá per il 4 a 2 finale, ma a quella sfida, questa sì, bella ed emozionante contribuirà anche il ‘Chino’ autore di una vera perla su calcio di punizione fatatoda circa trenta metri. Una rete per lui particolare perché paradossalmente sarebbe stata l’ultima con la sua nazionale: l’Italia lontana lo chiamò, e per rivederlo giocare con la Roja dovettero trascorrere ben undici anni quando a fine carriera era già tornato nel proprio Paese, militando nuovamente nel Colo Colo, il club dove era esploso, e infine nell’
Union Española con cui vinse una seconda Primera Division.

Sxs1MSvMAAAAASUVORK5CYII=Se nei nostri campionati non ha mai acquisito l’etichetta del ‘campione’, al tempo stesso ha legato la sua fama internazionale a quel Mondiale del 1962 disputato come perno del centrocampo della Roja, per via di una qualità tecnica indiscussa e riconosciuta oggi come tale dagli stessi tifosi doriani, veronesi e modenesi ‘meno giovani’. Non a caso la Sampdoria sborsò la cospicua somma di 175 milioni di lire per aggiudicarsi le prestazioni di uno dei protagonisti della ‘battaglia di Santiago’, un incontro che di calcio ebbe molto poco tra cui il fantastico tiro dalla distanza del Chino. Divenuto poi allenatore, Jorge Toro sarebbe stato il primo ad ammettere e condannare l’arbitraggio a senso unico di quella partita, definendola ‘segnata sin dall’inizio’ a favore dei padroni di casa. Una consapevolezza che lo fece sentire sempre in colpa nel vedere i volti tristi degli italiani che incontrava: chissà se questa macchia abbia influito psicologicamente sul suo rendimento italiano, lui che, nell’aprile 1959,appena ventenne, era stato capace di segnare una tripletta al mitico e fino ad allora ‘imbattibile’ Santos di Pelé, ospitato e sconfitto 6-2 dal Colo Colo durante una tournée.. 

Eroe per la stampa cilena, da noi invece incontrò delle difficoltà non riuscendo ad affermarsi come giocatore di prima fascia, probabilmente per un calcio troppo fisico e difensivo in rapporto alle sue doti tecniche: visse comunque una lunga esperienza di nove anni con le maglie di Sampdoria, Verona e Modena. Compagno di squadra di Azeglio Vicini in blucerchiato, nel primo anno italiano cominciò da titolare per poi patire un infortunio e soffrire la concorrenza in mezzo al campo di Giuseppe Tamborini.

Dopo 16 presenze e tre reti realizzate al Ferraris a spese di Milan, Vicenza e Modena, Toro si trasferì in Emilia giocando proprio per i ‘canarini’ dove fece inizialmente molta panchina mettendo comunque a segno altre due reti nella massima serie. Sempre in forza al Modena, la partecipazione nelle sei stagioni successive in serie B gli garantirà quella titolarità in mediana che mai gli fu concessa in A, come confermato dalla parentesi veronese nell’annata 1969/1970.

 
l9R2VB83FrCxAAAAABJRU5ErkJggg==Assoluta novità per via della provenienza, il ‘pioniere’ cileno non incontrò in Italia la fortuna che molti dei suoi connazionali avrebbero avuto più avanti, privilegiando una discreta avventura europea a dispetto di quella gloriosa che poteva essere in Sud America.

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