ARGENTINA E MESSI, PSICOLOGIA STRUGGENTE

Posted By on Giu 27, 2016 | 0 comments


di Massimo Fabi

Una vera psicosi da finale, una malattia che getta la nazionale argentina nel dramma più assoluto ed impensabile. Dall’Estadio Nacional di Santiago al MetLife Stadium del New Jersey la musica è la stessa: vince la Roja, ancora ai rigori, guidata da un tecnico argentino rimpiazzante il connazionale Sampaoli, Juan Antonio Pizzi. Un paradosso bruciante per l’Albiceleste, fermandosi per la terza volta consecutiva sul più bello. Il simbolo delle tre sconfitte è Lionel Messi, capitano della
Selección
e giocatore più forte al mondo, ma che ieri pomeriggio, come a Rio 2014 contro la Germania e lo scorso anno in Cile, ha fatto troppo poco terminando nella maniera peggiore possibile, facendosi ossia intercettare il primo penalty. Il mito Maradona è stato così vicino quanto inarrivabile, al punto di trasformarsi in una maledizione: Messi piange ancora con la sua nazionale, e questa volta il dolore è così forte che arriva l’annuncio frastornante dell’addio alla selezione.
Rispetto alle prime due in effetti, tale disfatta fa ancor più male assumendo i caratteri di un fallimento. L’Argentina era la grande favorita, non solo in termini di rosa ma anche per come era arrivata alla finale del Centenario, accumulando solo vittorie e a suon di goleade. Fortissima, bella e convincente: la formazione di Martino sembrava procedere incontrastata verso un successo assolutamente obbligatorio. Perfino la campione uscente della Copa America, il Cile di Vidal e Sanchez, era consapevole di avere qualcosa in meno rispetto l’avversario, giocando una partita umile senza strafare con l’obiettivo di arrivare proprio ai rigori. Tranquillità e intelligenza, mostrate da una squadra che già aveva fatto il suo lo scorso anno, si sono scontrate con tensione, pressione e ansia per un titolo che manca dal 1993. Se da un punto di vista squisitamente tecnico l’Argentina non aveva punti deboli, per trovare il suo tallone d’Achille bisognava attendere la finale e spostarsi sull’aspetto psicologico: una variante devastante che ha fatto inceppare un ‘giocattolo’ apparentemente perfetto. Manifesto di tutto ciò è l’occasione incredibilmente sciupata da Higuain, mister 36 reti in Serie A, calciando il pallone fuori a tu per tu con Claudio Bravo: dinamica simile all’errore contro Neuer in Brasile, a cui si aggiunse il rigore sbagliato di Santiago. I fantasmi del passato hanno travalicato i confini brasiliani e cileni penalizzando un’Argentina meno sicura rispetto alle precedenti uscite oltre che diversa per l’assenza in mezzo di Augusto Fernandez, fondamentale con la sua corsa nel favorire lo spostamento come trequartista centrale di Messi. La brillantezza nella manovra collettiva vistasi fino alla semifinale si è improvvisamente dissolta dinanzi a un Cile compatto e che paradossalmente ha beneficiato dell’espulsione precoce di Marcelo Diaz, sfruttando a proprio vantaggio la componente del nervosismo. Discorso inverso per Messi e compagni, caduti dall’idillio paradisiaco di tale edizione dopo il rosso inflitto a Rojo. Dalla ripresa in poi il Cile gestirà con razionalità il palleggio, la Pulce è ben controllata con raddoppi di marcatura, e Bravo è miracoloso su Agüero. Quando l’arbitro brasiliano Lopes fischierà la fine dei tempi supplementari, la reazione differente dei due tecnici è emblematica: Pizzi è soddisfatto e carico di ottimismo, Martino al contrario risulta visibilmente deluso e preoccupato, sbracciandosi verso la sua panchina. E’ il preludio della festa cilena e dello shock argentino dovuto agli errori di Messi e Biglia. Destino sfortunato per il Tata, ko non solo a Santiago ma anche nella finale 2011 con il Paraguay; esordiente come c.t. del Cile solamente a marzo, Pizzi ha al tempo stesso compiuto un mezzo miracolo, rendendo la Roja una macchina ‘diesel’ e battendo la squadra del suo Paese nella sfida più importante dopo il ko del debutto. Rispetto al successo casalingo del 2015, c’è tuttavia la sensazione che la Copa America Centenario sia stata piuttosto persa dall’Albiceleste, avendo patito nel momento decisivo gli ormai storici difetti di personalità e carattere. Il 1993 è lontanissimo a dispetto dei campioni messi costantemente in campo, ieri non c’era altra via che il trionfo dopo ben quattro finali perse. L’ennesimo epilogo amaro ha gettato Messi nello sconforto, spingendolo ad annunciare il ritiro: nessun titolo con la prima squadra e tante amarezze. Pesano come un macigno l’eterno confronto con Maradona e le accuse di poca leadership quando strenuamente necessaria, ma il capitano non può essere considerato l’unico colpevole: dietro al rumore generato dalla resa della Pulce, si nasconde un Di Maria non al meglio o l’ennesima prova da dimenticare in una finale per Higuain. Gli episodi in partite tese ed equilibrate fanno del resto la differenza: un eccesso di emozione o una mancanza di freddezza hanno certamente debilitato l’Argentina di questi ultimi tempi, rendendola una bellissima incompiuta.

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