Luigi Pellicone
Roma padrona in Europa. Domina il primo tempo, sbanda ma non perde mai testa ed equilibrio nella prima metà della ripresa, raddoppia, triplica e cala il poker nella ripresa. Una prova di personalità disarmante. Una trasformazione firmata Luciano Spalletti.
Prova maiuscola, in particolare di due interpreti. Dzeko&Palmieri. Entrambi hanno qualcosa in comune: ce ne hanno messo di tempo per convincere tutti, sino a riprendersi la credibilità smarrita a inizio stagione.
Emerson ha iniziato male e proseguito peggio. L’espulsione contro il Porto. Un paio di errori di troppo, specialmente nelle prime uscite. Quanto basta per essere bollato come “pacco” da rispedire al mittente o da sopportare turandosi il naso in attesa di Mario Rui. Dzeko, a luglio 2016, è sopportato più che supportato. Neanche i primi gol, gli evidenti segnali di cambiamento, bastano a convincere gli scettici.
A metà febbraio il mondo si è rovesciato? Forse. Perché Roma è cosi. Affamata e vittima della voglia di vincere che rende impazienti: lo sport locale più diffuso è la chiacchiera da bar. Consiste nel “puntare” il malcapitato di turno, quindi etichettarlo come “pippa” o “bidone”. Beh, nel percorso di crescita è compresa anche la maturità: ora è il momento chiedere scusa. Doveroso, da parte di chiunque abbia un pizzico di onestà intellettuale, ammettere l’errore. Emerson e Dzeko non sono due pippe. Nè due fuoriclasse. Le critiche, questa estate, erano giustificate. Perpetuarle, però, significa difendere le proprie idee e negare la realtà. Non sono due fuoriclasse ma due calciatori affidabili che, sotto la cura di Spalletti, si sono trasformati in pedine insostituibili nello scacchiere giallorosso.
Il brasiliano, con il passaggio della difesa a 3, ha giocato con meno paura, anche perchè dalla sua parte c’è Rudiger che ne copre le poche magagne. Trovata la chiave tattica, Spalletti lo ha reso sereno. E quando la testa è libera, il resto arriva di conseguenza. Emerson si è applicato nella fase difensiva, corretto i difetti e migliorato le qualità. Non sbaglia le diagonali, ha conservato la corsa, ci ha abbinato qualità. In due mosse, Spalletti lo ha ritrovato.
E Dzeko? Anche in questo caso bastava la fiducia, smarrita in un’annata balorda. La cura Spalletti lo ha completato e restituito al grande calcio. Merito anche del bosniaco: si è messo a disposizione, ha completato tutta la preparazione senza infortuni, lavorato con costanza e serietà sui movimenti, ha segnato e sbagliato tanto, senza lasciarsi divorare dall’ansia. Unica pecca, restava il carattere. E beh, glielo ha cavato, quasi di forza, Luciano Spalletti. Ci ha lavorato a fondo, sino a trasformare un ragazzo timido e sin troppo buono in uno spietato caterpillar.