Crisi nazionale? Problema Italiano

Posted By on Nov 15, 2017 | 0 comments


di Matteo Quaglini

 

A pochi giorni dalla disfatta di Milano ci si interroga sui perché. Un esercizio corretto ma come sempre, tardivo. La sottovalutazione del problema dell’impoverimento tecnico del nostro calcio e allargando il discorso di altri sport di squadra come pallavolo e basket, è stata una delle cause di maggior incidenza nell’aprire la voragine della grande crisi tecnica.

disfatta a Milano

I soliti vecchi schemi della competitività storica del nostro sport nazionale, il credere che si trattasse di contingenze generazionali, il miope atteggiamento delle Federazioni impegnate in battaglie di potere anziché in programmi di crescita, sono le principali cause di questo disastro sportivo.

Cause non del tutto inquadrate. Atteggiamento classico di chi reitera l’errore. Cultura degli alibi. Diventa automatico dire dopo Svezia-Italia che l’arbitro è inadeguato, o affermare nella pallavolo che manca il carisma dei ragazzi di Julio Velasco, o ancora pensare alla nazionale di Basket dei vari Belinelli, Gallinari, Bargnani come all’eterna incompiuta.

Nazionale di basket

La tecnica, La tattica, Lo sviluppo del gioco, quale importanza hanno nelle analisi? Non sarà forse che la discussione, anziché sul fato e la singola partita in sé, l’irrilevante arbitraggio, le assenze come nella pallavolo di Zaytsev e Juantorena all’europeo, vada incentrata sul lavoro di formazione degli atleti e dei tecnici?

Individuiamo alcune delle cause che ci hanno portato fuori dai mondiali 60anni dopo e, che ci hanno fatto giocare due europei nella pallavolo e nel basket, noiosi e monocordi.

I sintomi della crisi sono trasversali, vanno dall’alto (i vertici federali) al basso (la formazione regionale, provinciale, cittadina e periferica dei giocatori). Partiamo dall’alto: abbiamo Federazioni dalla mentalità vecchia.

Nel calcio negli ultimi 11 anni la Figc ha avuto 5 presidenti e due sono stati dei commissari. Troppi per stabilire una politica sportiva di rinnovamento copernicano. Inadeguati per intercettare il rapporto diplomatico con gli organi dell’UEFA e della FIFA necessario a una politica di ampio respiro sportivo da realizzare non per copiare gli altri (vedi la Germania post 2000) ma per capirne i sistemi riadattandoli al contesto italiano.

Un modo di pensare la politica sportiva sconosciuto a Tavecchio. Una mancanza di competenza dei meccanismi più profondi che è il vero male oscuro dell’immobilismo italiano.

Mancano idee rivoluzionarie, dialogo tra i protagonisti, scelte lungimiranti, mancano i grandi tessitori come furono Artemio Franchi e Antonio Matarrese, presidenti e grandi diplomatici alla Kissinger.

Nella pallavolo il concetto è simile. Dal 1995 fino a poco fa ha governato la Fipav Carlo Magri, il presidente della mitica Maxicono Parma capace di vincere negli anni del boom economico (effimero) della pallavolo anni’90, quella dei grandi imprenditori.

Una dittatura quella del presidente Magri che pur mantenendo, oggi, un campionato democratico e una lotta scudetto aperta a quattro formazioni ha tolto la forza della pallavolo degli anni ’90: la sperimentazione.

Alla metà degli anni ’80 l’arrivo di grandi giocatori come Kim Ho Chul, la Kipplan Torino che sacrificò la sua egemonia aprendo ai play-off e alla conseguente democratizzazione della vittoria, l’avvento di coach stranieri che si integrarono alla perfezione con quelli italiani, lo studio continuo sul miglioramento tecnico, fecero crescere il movimento verso una fase rivoluzionaria, aperta all’Europa e al mondo.

La stessa cosa che dovrebbe fare oggi la Figc invece di pensare a improbabili ripescaggi che diventano solo mediocri battute. Un’idea questa che però ha perduto anche la pallavolo priva oggi di uno Skiba, un formatore di giovani com’era il grande allenatore polacco nella sua Ravenna, esarcato della pallavolo rivoluzionaria.

Oggi vige il conservatorismo di seconda mano. E per questo non basta pensare di prendere Ancelotti come nel basket il presidente Petrucci non può pensare solamente di ingaggiare un grandissimo come Ettore Messina, i grandi santoni da soli non risolvono. Vedi Helenio Herrera a Roma o Velasco a Montichiari anni fa.

Italia82

Ci vuole l’organizzazione e la formazione dei giocatori. Ecco il secondo problema: quanto si allena la tecnica nei settori giovanili? Come si struttura la metodologia? Si insegna a giocare o si parcellizza il gioco tra aspetti che andrebbero inseriti dopo? Naturalmente le risposte sono tutte al negativo.

Coverciano con sistemi d’avanguardia imposta una metodologia basata sulla biomeccanica, e la ricerca tecnico-scientifica. Bene, e la tecnica?

Facchetti, Scirea, Maldini sapevano calciare in porta e segnare. Avete visto come ha tirato, con la Svezia, di piatto al limite dell’area Chiellini? Manca l’insegnamento e la ripetizione, basi dell’apprendimento.

Nel calcio abbiamo perso i 10, i 7, i 6, gli 8 e in parte i 9; nella pallavolo abbiamo perso l’attacco, che è inferiore a quello di Serbia e Russia e Brasile al netto di Zaytsev. Nel basket abbiamo tanti da Nba ma troppo scolastici nel momento della verità.

epa06175183 Simon Van de Voorde (L) of Belgium and Daniele Mazzone (R) of Italy in action during the 2017 CEV Volleyball European Championship a quarter-final match between Italy and Belgium in Katowice, Poland, 31 August 2017.  EPA/Andrzej Grygiel POLAND OUT

Altre cause: il talento e la nazionale come squadra. Sul talento l’idea è ancora quella della rivoluzione francese, applicata al calcio. Chi c’è l’ha se lo tiene e lo mette in mostra, è pura genia. Andate a vedere cosa dice Velasco, sul talento, agli allenatori argentini nel simposio della Federazione: il talento si modella e l’allenatore è un artigiano non un assemblatore.

Adiamolo a spiegare a quelli che dopo Milano parlano ancora di selezionatori. La nazionale o meglio le nazionali di calcio, pallavolo e basket vanno allenate come squadre. Ci si deve parlare per i tempi e gli spazi tra i protagonisti delle federazioni. Non individualismo ma collettivismo.

Non ci credete alle nazionali come squadre? Bene, anzi male. Perché il Brasile nella pallavolo, gli U.S.A e le squadre slave nel basket e, la Germania e la Spagna nel calcio sono diventate nazionali campioni giocando sempre e solo da squadre.

La disfatta di Milano è identica alla disfatta di Belfast del 1958. Guardate come Giulio Onesti, grande dirigente del CONI e allora commissario della Federazione la raccontò quella Waterloo italiana: « La Nazionale di calcio rimane la più fiacca e mediocre rappresentativa che lo sport italiano possa esprimere in qualsiasi settore. Il nostro paese è depresso economicamente, ma diventa l’eldorado per gli atleti stranieri. Ciò conferma ancora la crisi del nostro calcio, che non sa produrre calciatori, e la leggerezza di certi dirigenti di società che si fanno guidare dal tifo, cioè da un impulso irrazionale. Eppure tra questi dirigenti vi sono spesso degli operatori economici che si ingegnano, con assiduità e intelligenza, per creare nuove possibilità di lavoro alle aziende e ditte a cui presiedono. È ammissibile che, nel medesimo tempo, essi importino lavoratori dall’estero a condizioni folli ? E come si conciliano le spese da nababbi con le disastrose situazioni dei bilanci delle società ? Oggi, noi ci facciamo ridere dietro da mezzo mondo, come i ricchi scemi del calcio. E come se ciò non bastasse, è venuta fuori la trovata dell’oriundo, che ha ormai una sua letteratura. Nonostante una simile profusione di mezzi e di invenzioni, il calcio italiano è stato escluso dalla Coppa del Mondo 1958 ! » Oggi, 60anni dopo, siamo ancora lì, nello stesso triste e malinconico punto.

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