Verona, la grande città dei templari dell’85

Posted By on Mar 19, 2018 | 0 comments


di Matteo Quaglini

 

empo a Verona di play-off, di battaglie da campo, di Europa, e anche di speranze salvezza. Il mese di marzo, che il lampo storico sempre rimanda alle idi di Cesare uno che di questioni intricate se ne intedeva, è il mese che prepara alle decisioni finali e risolutive nello sport. L’apripista, più verosimilmente, per il percorso finale che porta o no a tagliare il traguardo rappresentato dalla sintesi, a volte crudele, a volte cinica, a volte felice, di un momento chiamato vittoria.

Una momento a doppia faccia, pericoloso e affascinante, suggestivo e traditore. Un momento che, però, sintetizza tutto il percorso di una squadra e di una stagione. Il risultato finale, qualsiasi esso sia, è come il finale di un giallo di Agatha Christie o Ellery Queen, tranciante e risolutivo. E a Verona da adesso in poi, nel calcio e nella super lega di pallavolo si corre incontro a questo finale per “risolvere” la stagione e far la conta di quel che sarà certamente, ma soprattutto delle emozioni che durante il gioco hanno “tormentato” e affascinato i protagonisti. E’ la catarsi dell’inquietitudine alla “Romeo e Giulietta”. E’, più in profondità nel mare magnum della storia sportiva della città, la magia del Verona 1985, quello del mago della Bovisa Osvaldo Bagnoli, dei ragazzi per bene alla Tricella, Di Gennaro, Galderisi, del panzer Brigel e del funambolico Garella portiere che parava con i piedi.

Quello stato ipnotico emanato da “innimaginabili” poi diventati dei campioni, è oggi nell’aria sottilmente, quando Valoti segna due gol al Torino rimettendo in corsa per la salvezza l’ Hellas ormai data per spacciata, o quando, Jaeschke dalla linea della battuta tira a tutto braccio, contro un Trentino più forte, andando a minare la ricezione dei nazionali Lanza e Kovacevic.

I play-off di pallavolo e la rincorsa alla “desesperada” come direbbero gli spagnoli del Verona di Pecchia, sottintendono però anche un altro tipo d’emozione: quella della paura e dell’incertezza nel fare l’ultimo passo, quello risolutore appunto. Si perchè nella vittoria col Chievo nel derby cittadino e nell’esperienza europea che la Calzedonia Verona sta vivendo in coppa Cev, così come nei minuti finali che la squadra di Grbic ha giocato sfiorando la vittoria a Trento nell’andata del primo quarto di finale del campionato, spiegano quello che ancora manca a queste due squadre rispetto al Verona cavalleresco di Bagnoli, il coraggio dell’impresa oltre l’ostacolo. Calzedonia Verona 2018

Una mancanza del tutto normale, perchè queste due squadre di oggi sono ancora in viaggio mentre quel Verona era in porto condotto dai “pirati” che venivano dal Nord alla Elkjaer e da quelli della Lega Teutonica alla Hans-Peter Briegel. Uno era un velocista e contropiedista capace di segnare scalzo alla Juventus “vincitutto” del Trap e di roi Platini; l’altro un decatleta, un panzer da esercito prussiano, uno da cavalleria pesante pronto a lanciarsi nella lotta contro i rivali di sempre, i francesi guidati dall’impavido Gioacchino Murat.

E’ questo che ancora manca a Grbic e Pecchia, l’incontro dei loro giocatori con uomini che vengono da altre esperienze e che quelle esperienze raccontano e fanno conoscere agli altri, per poi viverle insieme. Così Pajenk il centrale sloveno potrebbe diventare Briegel se riuscirà ad organizzare un muro più invadente e ad avere la personalità di farsi dare la veloce, il pallone rapido che appare poco nella pallavolo di oggi. Due gesti che il tedesco, nella specificità della tecnica calcistica, sapeva fare in maniera potente e incisiva per la squadra: la corsa forte e profonda, il tiro secco a colpire la porta con violenza in perfetta tradizione Deutschland.

Il Verona pallavolo è in semifinale europea dopo aver eliminato i serbi del Ribnica kraljevo, i cechi del Dukla Liberec e i francesi del Montpellier, e ora dopo la prima partita è sotto 1-3 da Ankara i turchi che vengono dalla città che ci regalò la prima coppa dei campioni nella pallavolo, anno del signore 1980. In questo percorso europeo c’è dunque tutto il tratto entusiasta di chi vuole costruire un viaggio come il Verona di oggi con un ottimo allenatore giovane, ottimi giocatori come l’attaccante canadese Maar e quello sloveno Stern o l’opposto iraniani Manavi; mancano due cose perchè sia magico come quello del 1985: il lungo tempo assieme vissuto tra esperienze buone e cattive e la difesa, simbolo della propia forza. Per il primo carattere occorre la pazienza di vivere tutte le esperienze, e questo si fa solo giocando tante volte, bene sapendo che da Giani in poi è iniziato in questi anni un percorso che ricorda quello degli scudettati che iniziarono vincendo la serie B. Per il secondo serve una forza tattica che la Calzedonia ancora non ha, quella forza che portò il Verona di Bagnoli a giocare contro le migliori squadre dell’allora campionato più bello del mondo perdendo solo una volta con il Torino di Leo Junior, rivale per lo scudetto. Una vittoria per parte tra i boxer orientali del Veneto del doge e quelli occidentali del mito “granata”, un cazzotto per parte come fanno i grandi pugili a svegliarsi e a darsi a loro modo un segno di rispetto. Per il resto 16 partite contro le migliori 8 di allora, 6 vittorie, 9 pareggi, 8 partite senza prendere gol, imbattuti contro Juventus, Inter, Liedholm, Roma, Maradona, Sampdoria e Fiorentina come segno evidente di un grande concetto argentino, l’inattaccabilità. Per questo il Verona pallavolo è ancora in viaggio mentre il Verona ’85 fu magico e irripetibile.

Submit a Comment