IL DODICESIMO UOMO

Posted By on Apr 10, 2018 | 0 comments


IL SOTTILE CONFINE TRA PASSIONE E OSSESSIONE

 

di Giacomo Pariselli

 

Campionato, coppe, nazionali. Quando il calendario si infittisce, il serbatoio va in riserva ed è fondamentale per un calciatore poter attingere a risorse esterne al campo per portare a casa il risultato. La risorsa in questione è ovviamente il pubblico, che sappiamo giocare un ruolo fondamentale nell’arco dei novanta minuti, quello di dodicesimo uomo, altrimenti detto fattore campo. Ma se provassimo a isolarlo dal contesto di “campo”, il tifo non sarebbe più un “fattore” per raggiungere il risultato, bensì un risultato stesso. A tal proposito, seppur affascinante nel suo carattere puramente sportivo, questo fenomeno ha anche una connotazione sociale, considerato che l’approccio al calcio nei vari paesi cambia di pari passo con la lingua, la religione, la politica. In quest’ottica, il tifo si propone come uno degli indici della situazione sociale e culturale di un popolo, manifestandosi come sua diretta conseguenza. Guardando in casa nostra, è evidente quanto si viva di calcio, non solo la domenica. L’umore e il calore del tifoso sono strettamente correlati ai risultati ottenuti dalla sua squadra. Basti pensare a come una vittoria sia sufficiente a far emergere spavalderia mista a ottimismo, e come una sconfitta, al contrario, faccia sprofondare in depressione. Episodi come abbandonare lo stadio o fischiare la propria squadra sono molto ricorrenti nel nostro calcio, chiaro segnale di quanto la ricerca del risultato sia esasperata. E il fatto che molti programmi televisivi dedicati siano incentrati su un tema come la moviola, conferma quanto sia importante, in caso di sconfitta, avere un capro espiatorio. Immaginiamo a questo punto un tifoso inglese o tedesco che passi il post partita davanti la tv a capire se fosse rigore o fuorigioco. Questo non è culturalmente contemplato in certi paesi. Il giorno della partita è un momento di aggregazione, condivisione, divertimento, e anche di sfogo se vogliamo, ma non di un’eventuale frustrazione. Ed è così che deve essere. Si esce, si beve qualche birra, si assiste alla partita cantando e sostenendo la propria squadra, si torna nei pub. Fine. In questi paesi il calcio è concepito in modo tale da fare da contraltare ad altre sfaccettature sociali, producendo sempre un tipo di tifo incondizionato. In Italia, al contrario, lo stesso fenomeno è andato ad aggiungersi ad altri elementi che contribuiscono a creare frustrazione e avvilimento, facendo oscillare pericolosamente l’ago della bilancia verso l’ossessione piuttosto che la passione. Con questo meccanismo si giunge al compromesso secondo cui la vittoria è sinonimo di amore e la sconfitta di distacco. Sarà forse per questo che i nostri stadi non sono suggestivi quanto quelli inglesi o tedeschi, o è semplicemente perché non abbiamo i loro pub?

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