Inghilterra da grande squadre sei ventott’anni dopo in semifinale

Posted By on Lug 9, 2018 | 0 comments


Matteo Quaglini
In semifinale ventott’anni dopo l’ultima volta, ai tempi del mondiale italiano del 1990. Erano i tempi di Shilton, Platt, Beardsley, Waddle. Erano i tempi del talento pazzo e geniale di Gascoigne, erano i tempi del maestro Bobby Robson l’ultimo grande allenatore inglese di una generazione che aveva dominato l’Europa dei campioni a livello di club ma che mai era salita sul trone più importante, il mondiale. Ventotto anni dopo, come detto, e sei mondiali dopo l’Inghilterra ha confermato di non essere più la Perfida Albione e di avere un’idea nella testa, nelle gambe, nel cuore: vincere per la seconda volta il campionato del mondo.
La possibilità di farlo c’è ed è concreta dopo la vittoria sulla Svezia sconfitta più nettamente di quanto il 2-0 non dica alla fine. Si è visto il gioco che l’Inghilterra doveva fare per vincere: aggressione alta sui difensori, giusto dosaggio della palla corte e della palla lunga, movimento delle mezzali, coinvolgimento sempre maggiore di Sterling nel gioco.
Tutti aspetti tecnico-tattici della prestazione inglese che hanno confermato come questa squadra sappia interpretare la partita a seconda dell’avversario, e a seconda delle sue caratteristiche incentrare il suo gioco su un aspetto piuttosto che un altro.
Il 3-5-2 ormai è un mantra o un must come direbbero loro. Non ci sono accenni di instabilità, si va avanti con quanto programmato e Gareth Soutgate sembra essere sempre più il nuovo Wellington. Prudente, calcolatore, consapevole, in grado di avere una visione generale e una particolare di quella che accradrà, si sta comportando come un allenatore di club e non solo un coach da selezione. E questo è uno degli aspetti più importanti del dopo Svezia, il concetto che anche al mondiale, anche in una competizione così breve e compressa, conti più di tutto la squadra. Lo stereotipo che si tanto è la selezione dei migliori a vincere, quello che c’è poco tempo per assemblare, l’altro ancora che sono gli individui a ottenere il risultato è finito da tempo ormai nel calcio in generale e nella storia delle squadre al mondiale in particolare.
Lo dimostra la storia recente del mondiale: la Spagna campione del mondo in SudAfrica giocava come il Barcellona di Guardiola e non solo per via dell’anima catalana e machega che caratterizzava quella “Roja”, la Germania regina di Brasile 2014 era, quattro anni fà, una squadra solida dove tutti sapevano cosa fare e come farlo. La riprova che tale assunto è vero è oggi chiara dopo la disfatta con la loro “Corea”. Anche questo mondiale ha confermato che per vincere ci vogliono idee, gioco di squadra, conoscenze e compiti tattici bene eseguiti. Le quattro semifinaliste sono li a ribadire questo postulato tecnico.
E’ questo il risultato più interessante per gli inglesi nel dopo Svezia: la sensazione, netta, di essere una squadra e l’idea di dover continuare su questa strada senza discostarsi dal gioco e dalla loro identità per cercare di vincere. Nei gol a Olsen c’è la sintesi della differenza che l’Inghilterra ha marcato, in cinque partite, con le altre squadre del mondiale che sono state eliminate. La rete da calcio d’angolo di Maguire è la specializzazione tecnica che si è vista sin dalla prima partita, all’esordio con la Tunisia, su calcio da fermo l’Inghilterra è la squadra migliore. Schemi, movimenti individuali a liberare il terzo uomo che arriva da dietro, traiettorie tese e precise. C’è uno studio dietro ed è una diversità che può fare la differenza in queste ultime due partite.
Il gol di Allì simboleggia invece il gioco basso degli inglesi, la vera novità di una squadra per anni ancorata al suo gioco monocorde o ai suoi grandi e solitari giocatori del passato. Il gioco che inzia da un lato si sposta, dopo una costruzione veloce nei passaggi, sull’altro dove la mezzala di parte chiude in porta o di piede o di testa. Un movimento alla Barcellona quando Messi da destra stringe e trova Rakitic che salta con un movimento centrale a mezzaluna la linea difensiva avevrsaria. Allì ha fatto gol esattamente così, chiudendo un trinagolo lungo e confermando la forza del gioco d’attacco inglese.
Ora che la partita con la Svezia ha focalizzato le due sintesi migliori dell’Inghilterra, il gioco da fermo e gli inserimenti, ora dicevamo serve l’ultimo tassello per lottare appieno per il mondiale: il centrocampo. Contro tre squadre come Belgio, Francia e Croazia che hanno in quel settore il cuore e l’anima del loro gioco, gli inglesi dovranno prepararsi a muovere il pallone tra le linee con velocità e precisione, col gioco di palla avanti-palla indietro, col possesso non statico ma finalizzato ad avanzare. Il motivo è semplice togliere la palla ad avversari che usano il fraseggio per controllare la partita e accelerare al momento opportuno.
Dopo la gara del gioco aereo, quella dell’attacco, quella del controllo difensivo, quella del dominio del gioco, ci vogliono due partite di magistero a centrocampo esattamente come nel 1966, contro il Portogallo di Eusebio e la Germania di Haller e Beckenbauer facero Bobby Charlton e Stiles. Il gioco nasce dal centrocampo, diceva il barone Niels Liedholm, e dal centrocampo vengono ora le possibilità dell’Inghilterra, di vincere il mondiale.

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