Inghilterra, dal collettivo ai giocatori per arrivare terzi

Posted By on Lug 14, 2018 | 0 comments


Matteo Quaglini

Giocheranno la prima finale, Inghilterra e Belgio, ma avrebbero preferito essera a Mosca piuttosto che a San Pietroburgo. Uno stato d’animo comprensibile e animato da profonda onestà quello dei Tre Leoni e dei fiamminghi, che hanno sognato grazie a prestazioni di qualità e vittorie di alto livello di contendersi il titolo mondiale. Così non è stato perchè Francia e Croazia hanno avuto, nel momento topico, qualcosa in più e poi chi segna ha sempre ragione. All’Inghilterra e al Belgio sono mancati i gol nel momento decisivo, gli stessi gol che avevano consentito da una parte di battere la Svezia e dall’altra di rimontare il Giappone e poi eliminare il Brasile. Con questo aspetto tecnico del gioco legato all’esigenza di segnare si avvicinano, oggi nella città intitolata a Pietro il Grande, due squadre che hanno proposto un calcio qualitativo e armonico: collettivo per dirla con un concetto caro agli allenatori.

La novità è stata che all’interno della categoria delle squadre armoniche e collettive, si è annoverato per tutto il mondiale anche il gruppo inglese. Una squadra all’interno di una competizione non si giudica solo se vince, ma la si valuta anche sul piano complessivo dell’organizzazione e della struttura. Sull’identità che mette in campo, sulle singole competenze dei giocatori, sui loro miglioramenti. E l’Inghilterra da questo punto di vista ha dimostrato una crescita notevole e precisa. Un passo in avanti a battersi per il miglior risultato di sempre dopo la vittoria di Londra del 1966.

Una squadra di qualità e buon livello che ha ricordato quella del 1990 al mondiale italiano. Allora gli inglesi, allenati da un grande coach come Bobby Robson, presentarono una formazione ben strutturata fisicamente in difesa e di grande qualità a centrocampo e in attacco. Era l’Inghilterra dei tre numeri dieci Waddle, Gascoigne e Barnes rifinitori di punta come si soleva dire nel calcio del passato, per un grande attaccante come Gary lineker. Oggi quest’Inghilterra ricorda molto quella formazione che arrivò quarta perdendo solo una partita, l’ultima con gli azzurri a Bari. Ed è questo, secondo quanto espresso dal mondiale, un aggancio storico importante perchè significa che ventott’anni dopo il calcio inglese si è rimesso in moto a livello di nazionale.

La partita di oggi vale molto perchè mettersi al terzo posto dopo gli ultimi rovinosi mondiali e dopo l’europeo nefasto di due anni fa darebbe un riconoscimento immediato al lavoro intelligente e profondo di Gareth Soutgate. Per questo è importante capire cosa ha proposto l’Inghilterra in questi campionati del mondo russi. Cominciamo dai giocatori.
C’erano incertezze su Pickford, il portiere. I rigori con la Colombia hanno spazzato via i dubbi, ma è stata l’interpretazione sempre attenta del gioco e la capacità di leggere le azioni degli attaccanti avversari che hanno dato valore alla scelta di tenere fuori Hart e dare fiducia al ventiquattrenne “goalkeeper” dell’Everton: il coraggio dell’allenatore è stato premiato.

Poi la difesa: Walker, Stones e Maguire hanno giocato complessivamente bene anche se le incertezze nei gol subiti da Mina e Perisic dicono che ancora qualcosa manca, a livello di concentrazione, per organizzarsi come una grande difesa. Non era facile però strutturarsi a tre, un modulo sconosciuto alla storia tattica di marca conservatrice inglese però ben applicato e in grado di consentire uno sviluppo della manovra notevolmente fluido rispetto al passato. Su questa fondamenta è nato il 3-5-2 e l’ultizzo di un centrocampo che sapesse arrivare in area da lontano. Bene Henderson, benissimo Lingard all’inizio per poi spegnersi un pò. Meno bene e con molte pause Alli. Dal giocatore del Tottenham ci si aspettava qualcosa di più: maggiori inserimenti segna palla, come nel gol alla Svezia, più tentativi di scambi veloci con Young e Kane, più corsa dal passo lungo come nella sua squadra di club. Complessivamente il centrocampo ha mostrato un’idea nuova di se seguendo i dettami della palla bassa e veloce che vigono a Liverpool, a Londra in casa “Spurs”, a Manchester nella riva che ospita il City.

Sull’attacco, invece, il mondiale inglese ha raccontato un paradosso: Kane capocannoniere si (oggi lotterà con Lukaku per il titolo) ma pochi i gol decisivi inglesi. Dodici in sei partite, media due a gara. Ma nelle gare importanti pochi: 1 alla Colombia, 2 alla Svezia, 1 alla Croazia. E’ mancato in zona gol Sterling che pure ha provato ad essere pericoloso, mentre non ha giocato il ruolo che doveva Rashford. Il talento dello United è stato meno tagliente del solito, più approsimativo, meno calato nella parte, più pensieroso sul da farsi: in sintesi non ha giocato il suo ruolo di “dodicesimo uomo”, di asso nella manica del pokerista Soutgate.

Oggi che l’Inghilterra contro il miglior Belgio dal 1986 in giù conferma la sua formazione tipo nel modulo (3-5-2) e negli uomini, sarà importante vedere il rendimento individuale dei giocatori, la loro crescita e come svilupperanno singolarmente il loro gioco. Arrivare terzi o quarti è diverso ed è nella diversità dei singoli che sta la via per raggiungere il miglior risultato, fuori casa, al mondiale. Per arrivare terzi, un gradino più su dell’Inghilterra dei dieci e due sotto a quella sognata dei Charlton e degli Hurst, ci vuole un ultimo sforzo. E anche questa è una diversità non da poco.

Submit a Comment