Juventus e Modena: storie di icone e campioni italiani

Posted By on Mag 5, 2019 | 0 comments


Di Matteo Quaglini

Un pugno di leggende. Un manipolo di uomini di sport. Una serie inimitabile di untouchables del gioco. Una squadra di campioni che hanno vinto e scritto la storia della Juventus e di Modena.

Tu chiamali Cavalieri senza macchia, con la c maiuscola come nei grandi racconti storici. I migliori giocatori italiani delle due formazioni capo scuola dei nostri due sport nazionali. A mescolarli vengono fuori tratti suggestivi: ci sono i primi eroi della pedata, i capitani porta bandiera, i miti, gli uomini da hall of fame, i palleggiatori e i loro pari calcistici chiamati registi, i bomber e gli uomini squadra magari un po’ crazy.

C’è in questo grande Pantheon il senso ultimo di tutto il gioco: il gesto tecnico, il momento in cui dei giovani ragazzi diventano campioni. E lo rimangono per sempre.

Il primo è Carlo Bigatto la prima bandiera della Juventus. Un uomo dalla statura minuta 1,72 per 70 kg che fumava 140 sigarette al giorno e amava il dribbling. Nel calcio del 1913, l’anno del suo esordio contro il Racing Libertas di Milano, il gesto individuale veniva ancora prima del gioco collettivo, Bigatto era l’incarnazione del dribbling game di matrice anglosassone.

Giocherà 234 partite segnando un solo gol proprio all’esordio, capitano e allenatore della Juventus nel 1935 con cui vincerà l’ultimo dei famosi scudetti del quinquennio d’oro. Un particolare lo eleggerà a simbolo, il cappello. Mentre compiva i suoi dribbling portava, ben saldo in testa, un cappello con delle strisce laterali a mo di lacci. Insieme ai folti baffi sembrava Dick Dastardly di Hanna e Barbera in Wacky Races, Bigatto non era cattivo ma barone si.

Un aristocratico del gioco come lo erano Montorsi, Sibani, Giovenzana e Nannini i campioni nobili della Panini Modena del 1970. Tutti modenesi, tranne Sibani che veniva da Bologna ma che aveva come gli alti l’alterigia di esser capitano di lungo corso della città che ha la giusta pretesa di considerarsi la pallavolo in senso complessivo.

Padri nobili come Dino Zoff, il mito. Come Carlo Parola, l’uomo della rovesciata da 200 milioni di copie. Come Antonio Cabrini, il giovane tenente dell’esercito più forte. Come Gaetano Scirea, l’anima gandhiana. Come Combi, Calligaris e Rosetta, i primi campioni del mondo e capitani.

Capitani come Giampiero Boniperti e Andrea Lucchetta. Entrambi nacquero con la fascia per guidare i compagni alla vittoria. Giampiero, che Benito Lorenzi grande ala dell’Inter chiamava “Marisa” per via dei boccoli biondi dei suoi capelli, orchestrava la manovra della Juventus anni’50 quella della rinascita.

Il grande Brera all’inizio si doleva della voglia di segnare del giovane Giampiero, capocannoniere con 27 gol nel 1948 penultimo anno del Grande Torino, lo voleva regista come poi diventerà nel Trio magico con John Charles e el gran zurdo Sivori. Oggi Boniperti ha 90 anni ed è la grande memoria storica juventina con le sue 469 partite e i 188 gol, gli scudetti da giocatore e la presidenza più affascinante e vincente in Italia e in Europa, una memoria che dal suo ritiro dal campo a 33 anni è rimasta per sempre quella da capitano.

E capitano è ancora oggi Andrea Lucchetta, crazy Lucky perché nella pazzia c’è l’intelligenza. Iconico, istrionico, mattatore alla Gassman, politicamente scorretto dicendo sempre ciò che pensa, è stato il grande capitano, l’anima della Panini quattro volte campione d’Italia e della nazionale campione del mondo in Brasile nel 1990.

Un campione che ha fatto della tecnica in veloce e a muro, la sua forza. Rapido e filiforme, aggressivo e intuitivo, Lucchetta è stato il simbolo del motto: possiamo farcela, sempre. Fin da subito fu così. Esordì in una Panini relegata a ruoli subalterni dalla Santal Parma di Kim e Gianni Lanfranco, ma non si arrese e Modena tornò campione. In nazionale fece il suo esordio nel 1983 contro la squadra più forte l’Urss, vinsero i Soviet 3 a 2 ma la strada era tracciata ed era quella del non arrendersi mai, sette anni dopo da una sua parata in tuffo alla Dino Zoff sarebbe partita l’azione che Bernardi, con un colpo alla Bettega, avrebbe concluso dando all’Italia il titolo di campione del mondo.

Dai capitani ai viaggiatori. Nel nome proprio di Lorenzo Bernardi e Franco Causio, di Giuseppe Furino e Andrea Gardini. Sono gli uomini che nati in altre città viaggiando hanno trovato il loro approdo vincente a Modena e a Torino.

Lorenzo, che per anni sarà il magnifico del tempio Panini, veniva da Trento e nella città della Ferrari trovò Velasco e un gruppo di campioni che credeva nel napoleonico tutto è possibile, vinsero approdando al mito. Il barone Causio era nato a Lecce da lì era arrivato giovanissimo a 22 anni nella Juventus operaia di Heriberto Herrera. Poi nel 1970 tornò per costruire, assieme a Capello, Landini e Spinosi, l’architrave della Juventus aperta al talento. Era il 10 che giocava col 7 come al di là della manica giocava e dribblava George Best. Sarà come l’immaginifico irlandese dagli occhi glaciali il fulcro del gioco offensivo della squadra da contropiede per eccellenza.

Il viaggio di Furino e Gardini fu diverso. Il piccolo mediano veniva da Palermo e divenne il capitano più combattivo, il militante del partito più fervente, il monaco più riverente della squadra del suo cuore che rappresentava antropologicamente il riscatto dalle tante sofferenze. Il grande centrale, invece, arrivò a Modena negli ultimi anni della carriera, era stato l’avversario più temuto con Ravenna e con Treviso. A Modena, nel 2002, vinse lo scudetto conclusione felice dell’incontro tra un grande campione e la squadra campione per antonomasia.

Lorenzo Bernardi è stato non solo l’icona del viaggio, ma anche quella degli attaccanti. I grandi che fanno gol o punto. La Juventus e il Modena ne hanno avuti di grandissimi. Bernardi è stato il giocatore del secolo e l’uomo dei punti decisivi nelle finali mondiali, un azzurro come Paolo Rossi, a cui la Juventus dette fiducia dopo la squalifica e che i 6 gol mondiali riportarono al centro dell’attacco bianconero e nel cuore di milioni di italiani.

Marco Bracci, toscano dal linguaggio polemico e vero, era il lupo di Modena 1994 il martello indomabile che non si arrendeva di fronte a nulla. Prima della finale scudetto del ’95 contro Treviso negli spogliatoi disse: “Per batterci devono ammazzarci, ma noi non moriremo e quindi vinceremo”. Vinse Modena in tre gare e da lì conquistò, col suo capo branco, tre coppe dei campioni.

Bracci saltava con la stessa grinta con la quale Roberto Bettega svettava di testa nelle area di rigore catini western degli anni ’70. Era aggressivo come Marco Tardelli il migliore giocatore della Juventus del Trap negli inserimenti da lontano. Era un ossesso del punto, come Vladimiro Caminiti descrisse Pietro Anastasi in ciascuno dei suoi 78 gol juventini. Non aveva la classe adamantina di Alessandro Del Piero e Roberto Baggio, capaci di segnare gol geniali di matrice intercontinentale o di testa al Milan degli invincibili.

Bracci come Luca Cantagalli, altro grande bomber della Modena che schiaccia, erano come Gianluca Vialli, estraneo all’inizio della sua storia a Torino per via di genovesi nostalgie alla Creuza de ma. Poi l’inversione sul campo e sul parquet a forza di battute forti e schiacciate nei tre metri o di rovesciate nella natia Cremona fino a sollevare da capitano e leader carismatico la Coppa Campioni 1996.

La grande carrellata termina con i registi e i palleggiatori. Gli uomini che fanno giocare gli altri, che muovono i fili della squadra, che costruiscono pallone su pallone le linee di passaggio e la manovra degli altri. Il lineare Fabio Vullo è stato per la pallavolo quello che Andrea Pirlo ha rappresentato per il calcio, un maestro. Dagli anni ’70 emerse Franceso, Pupo, Dall’Olio che aveva il metodo di un gioco semplice e redditizio alla Giovanni Ferrari, una delle grandi mezzali dei cinque scudetti consecutivi.

Icone, campioni, uomini che hanno vestito la maglietta della Juventus e della Panini Modena alla stessa maniera, come fosse una grande storica e inattaccabile bandiera.

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