Agnelli e Panini, gli industriali dello sport

Posted By on Giu 29, 2019 | 0 comments


 

Di Matteo Quaglini

 

Due ammiragli al comando della loro flotta, questo sono stati Gianni (Giovanni) Agnelli e Giuseppe Panini. Industriali dello sport. Presidenti e Deus ex machina delle loro imprese. Ideatori e progettisti di due gloriose catene di montaggio di successi sportivi: la Juventus, la prima squadra del calcio italiano a diventare un’industria e la Panini Modena oggi Modena Volley, il gruppo pallavolistico tra i più famosi del mondo sorto sulle fondamenta di un’idea ardimentosa, rendere delle semplici figurine un impero d’emozioni.

Dalle loro esperienze giovanili nell’imprenditoria italiana del dopo guerra all’esarcato sportivo, il passo è stato veloce per uno più cadenzato per l’altro. La Juventus era nel destino di Gianni che mai, però, si è considerato un padrone: “ Io considero di essere stato per il passato…non mi piace la parola “mecenate”, infine un supporter della Juventus che ha avuto la possibilità d’aiutarla”. Era il 1963, l’anno del primo scudetto della Grande Inter l’eterna rivale, quando Giovanni Agnelli dichiarò il suo rapporto di aristocratico innamorato del giocattolo di famiglia.

Per Giuseppe Panini, Modena e la futura squadra di pallavolo più vincente d’Italia non erano dentro l’eredità per diritto divino, non c’era nel suo percorso una senatoria da tardo impero romano, ma costruzione mattone su mattone di una visione. Esattamente come aveva sempre fatto partendo da Pozza di Maranello dov’era nato nel 1925, o quando nel 1945 con gli altri tre fratelli maschi aveva acquistato l’edicola di Corso Duomo a Modena.

Gianni Agnelli e Giuseppe Panini sono stati due uomini diversi e simili. Entrambi industriali, uno glamour, mondano e aristocratico, giramondo come l’avvocato, l’altro artigiano, amanuense d’oggettistica, lungimirante come il cavaliere. Gianni Agnelli è stato uno se non l’uomo più carismatico della sua famiglia, Giuseppe Panini ha rappresentato, invece, l’uomo della strada che coglie un’idea e la trasforma giorno dopo giorno nella sua El Dorado.

Nello sport hanno rappresentato la diversità dell’innovazione e della conoscenza del mondo e delle cose. Gianni è stato presidente della sua Juventus per giovanili periodi, dal 1947 al 1954, anni i primi in cui il Grande Torino era l’ombelico del mondo calcistico italiano e l’Italia uscita martoriata dalla guerra aveva bisogno di nuovi sogni, i secondi. Lui, l’erede kennediano, di papà Edoardo che comprando la Juventus la volle prima squadra industriale produttrice di scudetti e grandi giocatori, fu il giovane dirigente del rilancio juventino.

La squadra non vinceva lo scudetto dal 1935, anno ultimo del quinquennio d’oro. Ci voleva un’idea che ridesse slancio ad un club che aveva perso la visione di se stesso. Così Gianni si affidò al pensiero di fondo della famiglia Agnelli, il risalto delle eccellenze. Il talento messo a disposizione di un programma di produzione aveva da sempre animato l’operato del padre che proiettò la Juventus nel futuro già dal 1923, l’anno del suo acquisto. Organizzazione, talento, produzione, quando Gianni divenne presidente si ricordò di questa miscela e la mise in pratica, come un alchimista degno di Maltesta, esordì così in squadra un giovane ragazzo dalla chioma bionda e riccioluta Giampiero Boniperti e si acquistarono due grossi stranieri provenienti dall’Europa del Nord, Hansen e Praest.

Con questa miscela dei migliori giocatori italiani e stranieri arrivarono gli scudetti del 1950 e del 1952, i campionati della dinastia restaurata al potere, nel segno dell’idea del padre di produzione di vittorie e grandi figure dell’immaginario collettivo.

Giuseppe Panini, invece è stato presidente a vita. Dal 1966, l’anno della fondazione del Gruppo sportivo Panini, fino al 1993 stagione nella quale cedette la società del suo cuore all’industriale delle ceramiche Giovanni Vandelli. Fu un’idea grande, ardita e rivoluzionaria quella di dare anima ad una nuova squadra nella Modena competente e altezzosa città di pallavolo. C’erano già delle squadre che avevano vinto scudetti, c’era già una storia consolidata. La sfida di Panini fu crearne una nuova di storia, con i suoi campioni, le sue figure, le sue vittorie. Una squadra che nel suo nome portasse un po’ nelle maglie la magia vivente delle figurine.

Alla fine la favola della crisalide che diventa farfalla si realizzò: 8 scudetti, 6 coppe Italia, 1 coppa dei campioni, 2 coppe delle coppe, 3 coppe confederali a suggellare il trionfo di una squadra. In questo la Panini Modena è stata in tutto e per tutto la Juventus della pallavolo: in una parola, vincente. Gianni e Giuseppe, come due buoni amici di lunga data, hanno percorso le stesse vie per arrivare alla vittoria, quella dei grandi nazionali italiani e dei maggiori talenti stranieri chiamati a raccolta da ogni angolo del globo, fosse l’Argentina o il Brasile, l’est europeo o il nord dal freddo glaciale ma dal cuore caldo dei suoi vichinghi. Oppure quelle dei grandi allenatori, scelti anche controcorrente.

Ecco perché nella loro diversità sono stati simili. Entrambi hanno scelto guide tecniche che erano architetti e capo mastri al tempo stesso: Anderlini equivaleva Trapattoni per l’impostazione fisica e martellante del lavoro, mentre Velasco, che Panini grazie a Cormio ingaggiò quando ancora non era il maestro di oggi, sta a Lippi per essere stato il talento che non t’aspetti, il giocatore alla Paul Newman e alla Robert Redford, quello che ti da la stangata senza che l’altro se ne possa accorgere.

Lungimiranti e grandi Gianni Agnelli e Giuseppe Panini, anche nello scegliere il momento dell’addio che è stato quasi congiunto. L’avvocato, già padre della patria dal 1955, lasciò al fratello Umberto la gestione della Juventus nel 1994 l’anno in cui divenne presidente onorario. Il cavaliere dapprima vendette l’azienda di famiglia alla Maxwell nel 1989, l’anno del quarto scudetto di Velasco e dei suoi pretoriani, poi cedette la Panini nel 1993 come Gianni farà con una parte importante della Fiat ceduta alla General Motors dopo le perdite percentuali del decennio 1990-2001.

Due presidentissimi, due re, quello di Torino itinerante come i sovrani dei regni latino-germanici dell’alto medioevo, l’altro quello di Modena grande difensore della sua città esattamente come facevano i duchi e i marchesi a difesa dei loro ducati. Due che hanno percorso strade simili anche fuori dallo sport. Editori: della Stampa e del Corriere della Sera (1973-74) Agnelli, dell’Agenzia Distribuzione giornali (1956) i fratelli Panini e poi delle mitiche figurine rilevando le invendute edizioni Nannina del 1960 e portandole, nel 1961, a 15 milioni di copie vendute.

In quelle figurine c’erano anche i giocatori della Juventus di Gianni Agnelli, magie che uniscono il calcio alla pallavolo. E in quel commercio di sogni giovanili uscito dai confini nazionali con l’esportazione delle figurine in tutto il mondo, dal Belgio alla Svizzera, dalla Francia (’73), alla Germania (’74), alla Gran Bretagna (’76) fino agli Usa (’79), questa l’ultima similitudine tra i due industriali dello sport: l’internazionalizzazione delle loro squadre e delle loro aziende.

A Gianni Agnelli non riuscì con la Fiat quello che ha Giuseppe Panini è stato possibile con le figurine, ma la Juventus ha vinto tutti i tornei dell’UEFA e Modena ha trionfato tre volte nella coppa dei campioni. Sicuramente sono state eccellenze più italiane che europee nel senso che le loro radici affondano nella storia creata a Torino e a Modena città che hanno ospitato i principi Gianni e Giuseppe come Aquisgrana ospitava Carlo Magno, con reverenza e devozione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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