Cosa c’è rimasto del sogno peruviano

Posted By on Lug 10, 2019 | 0 comments


 

Vincenzo Boscaino Al gol su rigore di Richarlison tutti noi siamo rimasti un po’ male. Si, anche quelli che tifavano Brasile, anche quelli che hanno esultato per una Copa che “tornava a casa”. Baricco, raccontando il giovane Holden, direbbe che dietro un’emozione positiva vi è sempre un granello di tristezza. Sempre. Vedendo i “los Incas” con la testa china, indirizzarsi verso il tunnel del Maracanà, tutti abbiamo un po’ perso.

Quel sogno fanciullesco di vedere Davide battere Golia, gli ultimi sorpassare i primi, quelli destinati alla sconfitta ribaltare ogni risultato è svanito. Via, lontano. Ci siamo scoperti adulti, ad analizzare una realtà che doveva andare così, perché era giusto che andasse così. Hanno vinto i più forti, i più tecnici, i più organizzati. Eppure. Eppure, abbiamo sognato.

Ci resta il sogno. Si, il sogno di vedere Guerrero tornare dagli inferi di una squalifica antidoping e portare un’intera nazione in paradiso, il sogno di pensare che Gallese sia insuperabile e che quel tecnico argentino che ha girato il mondo possa trovare finalmente il suo posto nella storia. Ma non è andata così.

Quello che resta a freddo è una generazione da cui ripartire. Da quella Copa America vinta nel 1975 mai si era arrivato così vicino, a 45 minuti dalla gloria. Il 4-2-3-1 di Gareca è un concentrato di solidità e geometrie che si sono formate ed evolute durante tutta la competizione. A parte il match shock dei gironi contro il Brasile, in cui il 5 a 0 è stato un risultato troppo duro da essere accettato, il resto del torneo è stato un crescendo di prestazioni.

Il pareggio con il Venezuela e la vittoria per 3 ad 1 con la Bolivia avevano garantito il passaggio del turno. Non prestazione eccezionali, ma quel che bastava per continuare la “corsa”. È con Uruguay e Chile che il Perù ha sorpreso il mondo. 0 gol subiti in 180 minuti, una solidità difensiva invidiabile ed un cinismo clamoroso. Una voglia di vincere che si è declinata in lucidità dagli undici metri contro i favoritissimi uruguagi e in un capolavoro tattico contro il Chile.

È proprio nella semifinale che Gareca ha disegnato la “sua” cappella sistina. Fortunato vero, ma la fortuna aiuta gli audaci. Carillo ed Advincula non soffrono per nulla dalla parte di Vidal e Sanchez, mentre dall’altra parte Flores e Yotun suggellano una prestazione meravigliosa con un gol a testa. Difesa e ripartenza. Il gioco più vecchio del mondo, ma sempre efficace.

Si è provato a riproporlo contro il Brasile. Non ce l’hanno fatta. La partita finisce dirigendosi verso il tunnel del Maracana. Si è perso, ma che spettacolo. L’animo fanciullesco di ognuno di noi ci ha creduto, e per questo dobbiamo ringraziare questo manipolo di “combattenti”. Non saranno stati i più forti, i più preparati, i più brillanti ma in quanto a determinazione sicuramente secondi a nessuno.

Testa all’anno prossimo, alla Copa America 2020. Guerrero e compagni ritorneranno. Ritorneranno a farci battere i cuori e sperare che nulla, in fondo, è davvero impossibile.

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