di Marco Bea
A Ferrara la Lazio gioca, produce e convince, peccato si dimentichi però che le partite durano 90 minuti e rotti. Basta una riga per fotografare uno Spal-Lazio che, al di là del sanguinoso 2-1 finale, ha aperto delle crepe importanti sulle convinzioni dei biancocelesti, più che mai vittime di loro stessi prima ancora che degli avversari. Passano le stagioni ma non cambiano infatti i difetti endemici della squadra di Inzaghi, schiacciata sia dallo scarso cinismo, emerso in maniera evidente anche nel derby di due settimane, che da quei blackout durati stavolta per un’intera frazioni di gioco, in cui i capitolini si sono in sostanza offerti ad una Spal apparsa a tratti come una semplice tappa di trasferimento.
Seguendo il rigoroso ordine cronologico degli eventi è impossibile non rendere merito infatti alla Lazio del primo tempo, padrona dei ritmi e del gioco a tal punto da creare almeno quattro occasioni nitide da gol, contro la pericolosità offensiva pressoché nulla degli emiliani. Come accaduto spesso soprattutto nella scorsa annata il piatto piange rispetto allo sfarzo della tavola, tra pali, come quello colpito da Caicedo 9’, imprecisioni e scarsa cattiveria. Ecco quindi che lo 0-1 al giro di boa della partita, arrivato soltanto grazie al mani di Tomovic in area e al relativo rigore trasformato da Immobile, suona più da campanello d’allarme che da campane a festa, in vista di una ripresa che presenterà un conto salatissimo ai biancocelesti. Basta infatti una breve sosta negli spogliatoi per invertire completamente l’inerzia dell’incontro, con gli uomini di Inzaghi che perdono man mano distanze e sicurezze, senza tra l’altro che la Spal proponga clamorosi stravolgimenti d’assetto e di uomini, ad eccezione dell’ingresso del propositivo Strefezza per il disastroso Reca sulla corsia di sinistra. La rete dei padroni di casa è nell’aria e arriva puntualmente al 62’ con Petagna, premiato da una dormita generale dei marcatori laziali da palla inattiva, quasi irreale nell’occasione sia la facilità della sponda/assist di Tomovic che la liberta concessa in area alla punta di origini triestine. Una volta minata la fiducia di tutti gli 11 anche i rimedi rischiano di diventare un boomerang e infatti sia Correa che Milinkovic, subentrati a Caicedo e ad uno dei migliori del primo tempo come Leiva, non riescono a dare l’apporto sperato dal tecnico piacentino. La doccia fredda arriva infine nel peggiore dei modi al 91’, con un perfetto ribaltamento di fronte rifinito da Di Francesco e finalizzato da Kurtic, su respinta della conclusione della mina vagante Strefezza.
Una sconfitta che fa male quindi non solo per essere maturata allo sprint, ma per una serie di criticità venute a galla in primis a livello di atteggiamento e, per questo motivo, molto difficili da correggere. Lacune che continuano ad impedire alla Lazio di diventare davvero grande e di raggiungere quei piazzamenti Champions che passano soprattutto da partire come quella contro la Spal. La verità è che bisogna forse imparare ad accettare una volta per tutte sia il primo che il secondo tempo di Ferrara, sintesi del lato chiaro e di quello oscuro di una squadra ormai abituata, almeno con questi interpreti, ad essere “stabilmente instabile”. I margini di Inzaghi per poter limare qualcosa saranno tuttavia evidenti soltanto al termine dell’ormai imminente tour de force, con ben 6 partite in meno in 3 settimane, a cui si sottoporranno i biancocelesti, sbarcati non a caso in Emilia con un turnover ragionato. Già giovedì sera si tornerà a giocare in Romania in casa del Cluj per la prima di Europa League, nella speranza scacciare presto quel maledetto lato oscuro.