Prima e dopo

Posted By on Ott 2, 2019 | 0 comments


di Andrea Tocchio

 

“Quando sentivo Mohammed Alì dire al mondo che lui era il più grande di tutti, mi veniva da sorridere. Vedete, il più grande di tutti fu un calciatore inglese e il suo nome era Duncan Edwards.”

 

Chissà se Big Dunc sarebbe stato d’accordo con Jimmy Murphy (secondo di Busby allo United negli anni Cinquanta e Sessanta, ndr) o avrebbe sommessamente dissentito, fuggendo timidamente i complimenti. Lui grande e grosso, un fisico da corazziere, ma la compostezza e la riservatezza tipica delle persone umili. Del resto, nell’Inghilterra degli anni ’50, in quelle Midlands dove si vive e si sopravvive estraendo carbone, non c’è spazio per gli esibizionismi del giorno d’oggi.

Duncan Edwards nasce in quel contesto, a Dudley, l’1 Ottobre del 1936. Frequenta le locali scuole e sin dalla più tenera età si appassiona a due sport: il football e la danza. Tanto eccelle per prerogative fisiche ed intelligenza con la palla tra i piedi, tanto è leggiadro e coordinato nel ballo del Morris, antica disciplina inglese. A 12 anni, però, è costretto ad un’ardua decisione. Edwards viene ammesso alle fasi finali del National Morris and Sword Dancing Festival, ma, per pura coincidenza, nello stesso giorno ci sono i provini per l’Under 14 della English School F.A. (l’Associazione Inglese del calcio scolastico). Duncan, senza esitazione, indossa le scarpette chiodate e opta per il prato verde.

Da lì in poi brucia qualsiasi tappa sul rettangolo da gioco. L’1 Aprile 1950, a 13 anni e mezzo, scende in campo da capitano a Wembley con la English School XI per un match contro il Galles. Quella fascia la onorerà per altri due anni, con trionfi a ciclo continuo. La sua innata destrezza non passa inosservata e le migliori squadre britanniche dell’epoca sgomitano per aggiudicarselo. Complici un’ottima recensione di Jack O’Brien, talent scout del Manchester United, e il consiglio di Joe Mercer, coach delle selezioni scolastiche, Matt Busby si convince del suo potenziale e lo recluta tra i suoi Babes. Così, il 2 Giugno del 1952 Big Dunc si lega contrattualmente alle giovanili dei Red Devils.

La scalata del ragazzotto di Dudley è irrefrenabile: incontro dopo incontro si distingue tra le promesse dello United, ricoprendo magistralmente qualsiasi posizione gli venga assegnata. Mentre porta avanti il lavoro da apprendista carpentiere, per paura di non sfondare tra i professionisti, completa il suo “apprendistato” agli ordini di Jimmy Murphy e Matt Busby. Il 4 Aprile 1953 assaggia per la prima volta, a 16 anni e 185 giorni (record assoluto), il palcoscenico della First Division a Wembley, contro il Cardiff City. Inizialmente si sdoppia tra prima squadra e giovanile. Tra i “grandi” si adatta ad un ruolo da comprimario, alle spalle della leggenda locale Henry Cockburn. Tra i suoi coetanei, invece, per due stagioni (’52/’53 – ’53/’54) recita il ruolo di trascinatore indiscusso, contribuendo notevolmente alla conquista ripetuta della FA Youth Cup contro il Wolverhampton.

Superato Cockburn nelle gerarchie di Busby, il Tank (il carrarmato, come ribattezzato dalla stampa inglese) diventa una pedina imprescindibile nello scacchiere del tecnico scozzese. Ad un ’54/’55 da ricordare per l’aggiunta al suo palmares della terza Youth Cup (ai danni del West Bromwich Albion) e per il debutto con la Nazionale Maggiore nel Torneo Interbritannico contro la Scozia (il 2 Aprile 1955 a 18 anni e mezzo, primato di precocità battuto solo da Owen nel 1998), segue la consacrazione nel calcio che conta. Nel 1955 il Manchester inizia male in First Division, ma dal Febbraio ’56 inanella una serie di vittorie entusiasmanti, che gli consentono di chiudere primo a 11 punti dal Blackpool di Stanley Matthews (fresco Pallone d’Oro). Il trionfo viene bissato l’anno successivo, antecedendo di 8 lunghezze il Tottenham, sempre sotto la brillante regia di Big Dunc, che a soli 20 anni ha già superato le 100 presenze nella massima divisione inglese.

La Golden Generation di Busby è fenomenale anche a livello internazionale. Ovviamente, pure qui, Edwards stabilisce un altro record: è il più giovane inglese ad aver mai partecipato ad una competizione continentale per club. Dopo un  anno di rodaggio, in cui solo il Real di Di Stefano e Gento riesce ad estromettere in semifinale i Busby’s Babes  (5-3 il computo finale per i blancos), i Red Devils vogliono salire sul tetto d’Europa. La stella del Tank brilla nel firmamento europeo. Lo United, dopo aver eliminato agilmente ai sedicesimi lo Shamrock Rovers e agli ottavi, con qualche complicazione in più, il Dukla Praga, viene abbinato alla Stella Rossa, ostica compagine di Belgrado.

L’andata all’Old Trafford termina con uno spettacolare 2-1 in rimonta per i padroni di casa. Il 5 Febbraio 1958 il ritorno in trasferta a Belgrado. Il match è, se possibile, ancora più effervescente del primo e si chiude sul 3-3. Il Manchester è nuovamente in semifinale. Nel post partita, Dragoslav Sekuralac, coach della Stella Rossa, dice: “Oggi ho visto in azione probabilmente il giocatore più forte del mondo”. E’ Big Dunc, il Tank.

Avrà avuto ragione l’allenatore dei serbi? Ciò che avviene nelle 24 ore successive alla gara non può che alimentare i nostri quesiti. L’aereo di ritorno, che fa scalo a Monaco di Baviera, a Manchester non giunge mai. Una tragedia inenarrabile colpisce i Red Devils: il velivolo non decolla completamente dalla pista di Monaco e si schianta contro una casa qualche centinaio di metri più in là, incendiandosi. Muoiono 7 dei Busby’s Babes. Il Tank si batte per 15 giorni in ospedale, ma le complicazioni ai reni mettono la parola fine alla sua magnifica ascesa all’ Olimpo del Football.

Forse le parole di Sir Bobby Charlton, compagno di Edwards sopravvissuto al disastro, nonché Pallone d’Oro 1966, possono sciogliere il dubbio: “Era potente e aveva una straordinaria intelligenza calcistica. Era un calciatore completo, sapeva usare ambo i piedi…Faceva tutto istintivamente….E’ l’unico che sul campo mi abbia mai fatto sentire inadeguato. Ogni grande calciatore spicca per una, due caratteristiche precise: dribbling, colpo di testa, velocità, intelligenza tattica o prestanza fisica. Ecco, lui era il migliore in ciascuna di queste”.

Una cosa è certa: prima di lui, dopo di lui, nessuno mai.

 

“La tua vita può cambiare in un secondo, il problema è che non sai mai quando arriva quel secondo”

(Judith Ryan (Julia Weldon) dal film “Prima e dopo”, di Barbet Schroeder, 1996)

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