Roma: c’erano un americano; un italiano e un portoghese

Posted By on Nov 9, 2019 | 0 comments


di Giuseppe Porro

 

Se dovessimo raccontare una barzelletta datata inizieremo proprio così: c’erano un italiano; un francese e un tedesco. Nel nostro caso ci sono un americano; un italiano e un portoghese, ma non si tratta di una barzelletta, anzi stiamo assistendo alla realtà, una bella realtà (fino ad ora) che si chiama Roma. Per raccontare però questa bella realtà, dobbiamo proprio iniziare cosi: c’erano (anzi ci sono) un americano; un italiano e un portoghese (e non solo loro), sperando che alla fine come nelle barzellette, riusciremo tutti a farci grasse risate ovviamente non di scherno ma di felicità, festeggiando finalmente un trofeo giallorosso, che sarebbe il primo dell’era americana, il primo dopo tanti, troppi anni di nulla cosmico.

L’americano
Su di lui, ovvero l’americano, si è detto tutto e il contrario di tutto. James Pallotta arrivato come successore dell’ologrammatico e misterioso Thomas Di Benedetto (a proposito che fine ha fatto?), che a sua volta era arrivato in pompa magna con tanto di intervista su mamma Rai per poi defilarsi come i protagonisti di Star Trek quando usavano il teletrasporto, lascia lo scettro e la scena a lui “Jim”, quel James Pallotta che si presenta con tanto di tuffo in piscina, tante belle parole e propositi ma pochissimi risultati se non piazzamenti, che hanno comunque inserito la Roma si in un contesto da top club, ma con la bacheca ancora vuota ed Il progetto stadio (vero cruccio di James Pallotta) ancora chiuso in un cassetto dopo anni di chiacchiere; promesse e carte bollate. Quindi la crisi e la contestazione che parte dal “fucking idiots” (strumentalizzato); passando per le barriere; arrivando infine alle “plusvalenze”, e che ha avuto il suo apice quest’anno con il doppio addio (o per qualcuno allontanamento) di Totti e De Rossi, dove tanti tifosi della Roma avrebbero visto la compagine giallorossa cadere o vedere nel baratro della serie B, contestando tutto e tutti, anche il progetto del fatidico e (anche lui) ologrammatico stadio (vero e dichiarato obiettivo di Pallotta); misteri del tifo romanista che approfondimento in seguito.

L’italiano ed il portoghese
Detto dell’americano (anche se il suo mentore è il grigio londinese); si dichiara che quest’anno è l’anno zero, l’anno dove si raccolgono i cocci e si riparte, dopo “la deromanizzazione” (a detta di qualcuno) va fatto comunque per forza di cose, c’è un vuoto di potere da riempire e vanno scelti gli interpreti giusti: un italiano e un portoghese, Petrachi e Fonseca. Arrivati nello scetticismo generale e senza i favori di nessuno, Petrachi e Fonseca fanno la cosa più semplice e normale per il quale sono stati chiamati in causa, ovvero lavorano. La cosa bella è che lavorano bene andando a toccare le corde giuste di determinati calciatori che sono rimasti, o sono arrivati con qualche mugugno di troppo da parte della piazza (vedi Dzeko; Fazio; Kluivert; Pastore; Mancini, ma la lista e lunghissima). Trasferendo questa cultura del lavoro nello spogliatoio, infatti oggi la Roma gioca bene, ha un idea di gioco ben definita, e i calciatori si divertono a giocare non facendo pesare la piena emergenza infortuni in qui versa la squadra. Merito soprattutto del portoghese e dell’italiano che lavorano in simbiosi per un piazza difficile che comincia pian piano ad apprezzare il lavoro che si va delineando, dimenticandosi quasi dei suoi totem, ma sostenendo una compagine che ha bisogno del proprio pubblico. Un pubblico che sostiene: un portoghese; un italiano, e chissà in un prossimo futuro, se arriveranno i risultati forse anche un americano

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