La regola della Lazio

Posted By on Nov 11, 2019 | 0 comments


di Marco Bea

 

“Dura lex, sed lex” è il motto che ha scandito il pirotecnico 4-2 tra Lazio e Lecce nel 12° turno di Serie A, pur con sfumature diverse a seconda della prospettiva dei padroni di casa e gli ospiti. Se i salentini escono infatti dall’Olimpico con qualche recriminazione per la prestazione offerta e per la spietata, quanto inappuntabile, applicazione del regolamento a loro sfavore nell’episodio di svolta del match, i capitolini confermano dal canto loro quella serie di contraddizioni ormai entrate nel loro DNA. Pur strappando un risultato di peso per la lotta Champions gli uomini di Inzaghi hanno offerto infatti i consueti brividi ai propri tifosi, che dovranno abituarsi, con tutta probabilità, ad accettare questo “disordine delle cose” per tutto il prosieguo della stagione.
Nell’analizzare le sfumature di cui abbiamo fatto cenno in precedenza partiamo proprio dal caso arbitrale di giornata, ovvero l’annullamento del gol di Lapadula, lesto nel ribadire in rete al 67’, sul risultato di 2-1, la felina respinta di Strakosha su penalty di Babacar. La decisione di Manganiello, su indicazione del VAR, lascia in presa diretta un po’ interdetti, poiché la punta leccese si spinge in area prima della battuta del rigore al pari di almeno tre difendenti laziali, lasciando presagire  la ripetizione dello stesso. Per comprendere la bontà del fischio c’è però da scavare nei meandri del regolamento e delle nuove direttive dell’AIA, che invitano a sanzionare in primis, in caso di ingresso anticipato di più giocatori, la scorrettezza di chi ha in seguito contribuito allo sviluppo dell’azione. Il reset sarebbe quindi stato giusto soltanto se la palla fosse carambolata su uno degli invadenti biancocelesti, mentre la scelta del calcio di punizione indiretto risulta ineccepibile dato l’intervento dell’attaccante invadente. Una spiegazione articolata ma che mette d’accordo tutti, compreso il presidente del Lecce Saverio Sticchi Damiani, che con le sue proteste in zona mista ha più che altro sottolineato l’ignoranza della propria materia di tanti, troppi, numeri uno del calcio italiano.
Per quanto riguarda la Lazio invece “niente di nuovo sul fronte occidentale”, a partire dalla notevole capacità offensiva della squadra. Con 4 gol messi a referto ed almeno altre 3 occasioni divorate malamente le bocche da fuoco capitoline si sono infatti distinte nella loro totalità, con note di merito sia per Correa che per Milinkovic. Con la sua doppietta l’argentino ha dimostrato di impattare sulla partita come pochi altri quando mantiene la giusta freddezza sotto porta, mentre il serbo, andato a segno a sua volta, è stato bravo a procurarsi di mestiere il rigore del 3-1, rifacendosi idealmente del contatto in area, ben accentuato da Mancosu, da cui poi è scaturito “l’affaire Lapadula”. Nonostante la qualità del proprio reparto avanzato i biancocelesti continuano tuttavia ad apparire come una squadra spaccata a metà, come certificato dai ben 19 tiri totali concessi ad un Lecce approdato a Roma in una versione tutt’altro che remissiva. La difesa traballa oltremodo infatti sia nei singoli, tra i quali il solo Acerbi offre delle vere garanzie, che nelle situazioni di marcatura collettiva, a partire da quelle (ancora da capire se a uomo o a zona) sui calci piazzati. Il 3° posto attuale, con il vantaggio di +2 sul trenino composto da Roma e Atalanta e addirittura di +5 su un Napoli ridotto ad una polveriera, impone a maggior ragione ad Inzaghi di non sottovalutare le pecche emerse all’interno dell’ultimo poker di vittorie in campionato. L’affollato tavolo della Champions, con il Cagliari come variabile impazzita, deve infatti essere sfoltito prima delle mani conclusive, dove “la regola della Lazio” rischia di rivelarsi ben più dura da digerire rispetto ad una domenica casalinga di inizio novembre.

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