Juventus e Modena Volley, Coppa Italia che passione Vol.1

Posted By on Giu 29, 2020 | 0 comments


Di Matteo Quaglini

Dodici giorni fa, mercoledì 17 giugno, si è giocata all’Olimpico la 73ª edizione della finale di Coppa Italia tra il redivivo Napoli di Gattuso e la incostante Juventus di Maurizio Sarri. A trionfare, seppur solo ai rigori, è stata la squadra del sanguigno Gennarino, un Masaniello genuino ascoltato e amato dai suoi giocatori. A perdere, per una volta, è stata la Juventus. Incerta sul da farsi, sempre a mezza via nella difficile commistione tra schemi e talento individuale, la Juventus ha perduto la partita e la possibilità di vincere la quattordicesima coppa Italia della sua storia. Al piccolo cronista, però, questo episodio è stato fonte d’ispirazione da cui prendere spunto per raccontare un altro parallelo nella storia incrociata tra la Panini Modena e la Juventus, signore di vittorie. Come in tutti i racconti ci sono un titolo e una trama, a farla da padrone. I volti affranti dei giocatori di “Madama” hanno detto che, in fondo, alla coppa ci tenevano eccome. Non è vero dunque, come si dice nella vulgata, che la Coppa Italia è un trofeo a cui nessuno tiene, un peso, una zavorra. Il concetto, vedendo la sua procellosa storia fin dagli albori nel 1922, è valido per i turni iniziali ma non per la finale. L’atto conclusivo no, vincere quello è il sogno di tutti. I motivi sono diversi: da una parte per alzare un trofeo in quei luoghi dove un calcio al pallone non frutta quasi mai lo scudetto, dall’altra per riempire la bacheca laddove già sfavilla luccicante di trofei. E’ questo l’obiettivo della Juventus e della Panini Modena oggi Modena Volley, vincere più titoli possibili per essere, anche qui oltre che in campionato, gli Eddy Merckx della Coppa Italia: dei cannibali di successi.

In questo “Volume Uno” della storia che racchiude le complessive venticinque vittorie di coppa (13 Juventus e 12 Modena Volley) dei “Predatori del Tempo”, e di trionfi aggiungiamo noi, si deve partire dall’anno 1938: quello in cui la Seconda Guerra Mondiale sembra ancora lontana. E’ l’anno della prima vittoria della Juventus ottenuta sconfiggendo in finale i rivali dell’altro palio della città, il Torino. La squadra del mito granata è in una fase storica di limbo, sospesa tra il ricordo dei grandissimi Libonatti e Baloncieri cavalieri Templari indomiti del primo scudetto del 1928 e quello che verrà: la grandezza immortale del leggendario Grande Torino.

Vince tutte e due le partite della finale la Juventus allenata da un suo grande ex giocatore, Virginio Rosetta. E’ ancora una “Signora degli scudetti” competitiva, anche se il “Quinquennio d’oro” è ormai alle spalle. Ci sono dei grandi giocatori che ricordano come si fa a vincere. Difendono la porta di Alfredo Bodoira (che sarà il portiere del primo scudetto dell’immenso Torino, nel 1943) i terzini Foni e Rava. Attaccano due realizzatori ineffabili e simboli degli anni trenta che stanno volgendo al termine: Felicino Borel I e Gugliemo Gabetto. Si proprio lui, il centravanti dai capelli pieni di brillantina che diverrà, alcuni anni dopo, uno degli undici miti della squadra più grande di tutte.

Anche la Panini Modena vinse la sua prima Coppa Italia quando non era l’ombelico del mondo del campionato. E anche qui per un ancestrale combinazione la squadra da battere porta il nome della storia. Nel girone finale della prima edizione della Coppa Italia di pallavolo, che si gioca a Venezia città del Doge e del Carnevale dalle misteriose maschere, dall’altra parte della rete c’è la Klippan Torino campione d’Italia in carica. Una squadra imbattibile. E’ un girone dantesco quello perché c’è in campo il meglio della pallavolo italiana di allora, anno del Signore 1979.

La Panini Modena vive una fase transitoria dopo l’epopea del mitico Prof Anderlini e deve affrontare oltre ai campioni di Silvano Prandi, la Paoletti Catania dei nazionali Scilipoti, Nassi e Greco: l’anno prima campioni italiani. La squadra che per la prima volta ha portato lo scudetto al Sud è orfana di Carmelo Pittera, Don Carmelo ha rinunciato al doppio incarico e ora allena solo la nazionale ribattezzata, dopo l’argento mondiale, Gabbiano d’Argento. Nonostante questo il fedele secondo adesso allenatore capo, Nino Cuco ha portato i catanesi a lottare ancora una volta per un trionfo. Una vittoria che vuole anche la Tiber Toshiba Roma dei dioscuri Salemme, Nencini, Squeo e Mattioli. La squadra è sempre quella che difendeva e martellava ad Ariccia e poi sotto l’effige della FederLazio ribadiva la sua classe, entrambe formazioni campioni d’Italia negli anni ’75 e ’77. Eppure, in questa parata di stelle e di lupi che si sbranano per la Coppa Italia, vinse Modena riagganciando il treno della vittoria. Lo stesso treno su cui salì la Juventus nella seconda vittoria in finale contro Milano. E’ il 28 giugno del 1942, un anno dopo il regime mussoliniano sarebbe caduto e una nuova fase della storia d’Italia iniziata, e il Milano del centravanti Boffi gioca a Torino per cercare di segnare più gol possibile dopo l’1-1 dell’andata che favorisce la squadra allenata da Luis Monti. Già proprio lui, il mediano argentino della Juventus vincente che fu di Edoardo Agnelli. Ora fa il coach, la guida, di una squadra che attraversa un momento difficile della sua storia: ha lasciato il trono al Bologna che tremare il mondo fa e all’Ambrosiana Inter di Peppino Meazza, che si sono divisi gli scudetti dal ’36 al ’41. In più proprio in quel giugno ’42 è diventata da pochi giorni campione d’Italia la Roma di Masetti e Amedei. Il ritorno alla vittoria è necessario, come il pane. Nel momento in cui bisogna tirare fuori l’orgoglio la Juventus c’è sempre e l’albanese Riza Lushta segna una tripletta che unita al gol di Sentimenti annulla il pareggio di Boffi al ’56° minuto e consegna la seconda Coppa Italia ai giocatori juventini. Questa la formazione che vinse quella Coppa dei tempi di guerra: Peruchetti, Foni, Rava, Depertini, Carlo Parola, Locatelli, Calaneri, Varglien, Lushta, Sentimenti e Bellini. Era una Juventus declinante, ma ancora orgogliosa. Come lo fu la Panini Modena nel 1980 quando bissò la Coppa Italia nel suo tempio, il Pala Panini. Vinsero i “canarini” sull’Edilcuoghi Sassuolo, la Veico Parma e la Paoletti Catania, giunta all’ultimo grande guizzo della sua storia sotto rete.

Poi la Coppa Italia di calcio, dopo quel 1942 agitato e guerrafondaio, si arrestò l’anno dopo nel 1943 con il double del primo Grande Torino. Il trofeo che ripercorre, tra cultura sociale e storia delle città, le orme della Coppa d’Inghilterra e della Coppa di Spagna di competizioni cioè che fanno abbracciare il calcio con la società. Il torneo riparte nel 1958, mentre in questo viaggio nel tempo prosegue, per gli amanti della palla in aria, parallelamente nel 1985. Dopo il trionfo della Lazio di Fulvio Bernardini, ecco di nuovo la Juventus in finale. E’ il 13 settembre del 1959 e sono le 16.30 del pomeriggio, quando l’Inter e la Juventus entrano in campo. E’ l’Inter dell’innamorato Angelillo e di Eddy Firmani, di Bolchi e di due che scriveranno la sua storia euromondiale: lo stopper Guarneri e Mariolino Corso, il sinistro di Dio. La Juventus segna subito con John Charles dopo ‘7 minuti, l’Inter prova a reagire per dare a Angelo Moratti la prima vittoria della sua, fino ad allora, quadriennale presidenza. Orchestrata da Boniperti la manovra di “Madama” è fluida e prima Cervato con una doppietta e poi “El gran Zurdo”, il grande mancino Sivori segnano gli altri tre gol di una memorabile vittoria per 4-1 nel feudo interista. Una vittoria epica come quella della Panini Modena nel girone finale di Chieti, ventisei anni dopo.

Dopo aver battuto 3-1 l’Enermix Milano e 3-0 la Bartolini Bologna che vincerà lo scudetto, ecco la partita delle partite contro il rivale di sempre la Santal Parma. Ora, Modena contro Parma a pallavolo, nel 1985, è l’esatta trasposizione dei Guelfi contro i Ghibellini e ogni centimetro del campo serve per dare battaglia. Dall’altra parte della rete ci sono i campioni d’Europa, belli, alti e sicuri di se. C’è Errichiello l’orologio della ricezione parmense, c’è Negri l’assaltatore dei muri avversari, ci sono Lanfranco e Rebaudengo tra i primi italiani a vincere, cinque anni prima, la Coppa dei Campioni ad Ankara. E soprattutto con il suo 1,98 cm di altezza c’è lo Zibì Boniek della pallavolo: Wojtowicz. Il gigante di Polonia ha la barba e i capelli lunghi che sembra una rockstar di Woodstock e infatti quando schiaccia la palla fischia come il martello degli dei, firmato Led Zeppelin.

La Panini tiene con il coraggio che le deriva dalla sua storia e dal suo magistero vincendo per 3-2 in un tripudio di gioia. Un anno dopo, al Palasport di Ancona, c’è la rivincita: mentre al gran ballo della Coppa Italia si uniscono anche la Tarantini Bologna e la Victor Village Ugento. Qui la Panini è un rullo compressore, perché qualcosa è cambiato nella città che trasuda pallavolo. E’ arrivato da Jesi un giovane ragazzo argentino che mastica e studia profondamente la pallavolo, porta il nome storico di Cesare, Julio, riadattato nel castigliano argentino. E anche il cognome Velasco si avvicina a un grande della pittura: Velasquez. Anche Julio Velasco, infatti, a modo suo, deve dipingere un quadro e guidare un esercito. La partita decisiva è ancora contro il Parma che ha vinto in Europa due Coppe dei Campioni con la sicurezza dei dominatori. Finisce 3-1 ed è il primo guizzo di Don Julio nell’Italia che riceve e schiaccia palloni.

A questa vittoria dalla suggestione argentina bisogna accostare, nel nostro gioco di luci, l’ultima vittoria di questo primo volume che racconta la Coppa Italia di Juventus e Modena. Quella del 1960 ottenuta davanti ai 70.000 aficionados del football, nel magnifico San Siro. Nella finale tra Juventus e Fiorentina, che era una delle grandi squadre italiane di quegli anni, Carlo Parola stavolta è in panchina a fare l’allenatore e non il grande centromediano che è stato. In campo c’è il trio Sivori, Charles e Boniperti, mentre la Fiorentina è piena zeppa di grandissimi giocatori: dagli uccellini svedesi alla Hamrin, ai cileni tosti com’erano gli antenati araucani mapuche alla Montuori, ai brasiliani cecchini del gol come Da Costa fino alla classe in porta di Giuliano Sarti che scriverà pagine memorabili in quel mitico stadio. A dieci minuti dall’inizio segna subito Sir John per l’1-0, Montuori pareggia e rimettere tutto in equilibrio. Quindi Dino da Costa rapace delle aree guizza e infilsa Vavassori 2-1 Fiorentina! La Juventus si sa non muore mai e Charles fa doppietta e pareggio, così in una botta sola. Si va ai supplementari. La partita è in equilibrio, ma l’autogol di Orzan al ’97 sarà l’ultimo acuto sul tabellone di San Siro. E’ finita la Juventus è campione per la quarta volta, come la Panini. La storia continua e nel suo viaggio trova un anima d’emozione: Coppa Italia che passione!

Submit a Comment