Nerio Zanetti e Gigi Radice, i sergenti di ferro

Posted By on Lug 6, 2020 | 0 comments


Di Matteo Quaglini

Nerio e Gigi, sergenti di ferro. Nerio e Gigi, grandi allenatori d’avanguardia. Nerio e Gigi prima giocatori, poi insegnanti di pallavolo e calcio. Nerio e Gigi, moschettieri azzurri. Nerio e Gigi, campioni d’Italia. Nerio e Gigi, eretici portatori di un gioco diverso da quello convenzionale. Nella storia del football e della palla in aria italiana Nerio Zanetti, allenatore della Zinella poi Bartolini quindi Mapier Bologna, e Gigi Radice icona della Torino che pensa granata, occupano un posto di rilievo.

Tutti e due sono stati multiformi e innovativi nella difficile interpretazione del ruolo, sacerdotale e teatrale, dell’allenatore. L’hanno imparato poco a poco, già da quando erano giocatori. Gigi Radice ha cominciato il suo apprendistato da panchina quando dava calci al pallone nel Milan grandissimo di Liedholm e Schiaffino, alla fine degli anni ’50. Poi dopo aver vinto la prima Coppa Campioni italiana nel mitico Wembley contro la pantera nera del calcio Eusebio, giocando nella sua carriera anche a Trieste e Padova per intraprendere poi quella di allenatore a Monza, nel 1966. Nerio Zanetti invece ha studiato all’Isef e, da subito, amato la pallavolo che ha giocato nel Bovoli, nello Zavattaro, nella Virtus e nel Cus Bologna. Tutte palestre nelle quali imparare i fondamentali della gestione degli uomini e dei loro caratteri, poco a poco: come un artigiano.

Quando si sono sentiti pronti, Nerio e Gigi, hanno appeso gli scarpini e le ginocchiere al chiodo e si sono cimentati nel modellare la loro personalità estroversa per metterla al servizio dei ragazzi a cui volevano insegnare un gioco, prima che uno sport. E l’insegnamento si sa nasce nelle università e nelle città. Ecco il nodo che raccorda la carriera di Gigi a quella di Nerio, le città. La Bologna della vestigia emiliana che divide la sua anima e la sua competenza tra calcio, pallavolo e basket, per Nerio che lì ha forgiato con signorilità la sua carriera da coach.

La Torino della magia bianca per Gigi Radice che li è diventato condottiero impavido del nuovo Grande Torino erede degli eroi guidati dal guerriero Valentino. Dall’una all’altra parte, dall’Emilia al Piemonte, Nerio e Gigi hanno trasmesso la loro idea di sport fatta di sacrificio, rispetto per l’altro, massima abnegazione, tutto nell’esaltazione di un preciso principio: la parola successo viene prima di quella sudore, solo nel vocabolario.

Un passo indietro per tratteggiare, prima di raccontare il colpo di teatro più bello di Nerio e Gigi, come hanno iniziato Zanetti e Radice. Il signore che farà grande la Bologna che schiaccia cominciò allenando proprio all’Università, cattedrale corporativa storica sotto le due Torri, la Alma Mater e portandola dalla serie D alla A2 (la serie B del calcio nella pallavolo): era il segno distintivo che avrebbe marcato la sua più grande qualità, saper costruire nel tempo. La stessa che Gigi seppe mettere a Cesena, sua quarta città da allenatore dopo Monza (due volte) e Treviso, nella cavalcata che promosse la squadra per la prima volta in serie A nel 1972-73. Come l’Alma Mater anche quel Cesena era, sotto la guida del suo nocchiero dal viso duro e scolpito come quello dei sergenti della guerra di secessione americana, una grande squadra.

Dopo la Romagna, venne per Radice la Toscana e la Fiorentina a bagnare l’esordio nel massimo campionato di calcio. Poi, al termine di quel torneo ’73-’74, il volo verso la Cagliari dell’ultimo immenso e crepuscolare Riva a marcare uno dei suoi tratti più peculiari: l’idea di viaggiare per tante città dello stivale a insegnar pressing, aggressività e tanto gioco d’attacco. Un viaggio che Nerio Zanetti ha fatto, al contrario, entrando nelle porte di tre sole città: oltre alla Bologna caposaldo della via Emilia, la Treviso che dopo il rugby si era innamorata un giorno della pallavolo e Schio. In questo i due sergenti di ferro sono stati diversi. Gigi Radice ha vissuto dentro le mura di Bari, Milano costeggiando le due sponde del naviglio, Roma, Genova, Bologna. In questa loro diversità, però, la magia dello sport li ha messi in contatto: Gigi Radice ha allenato per un anno (’80-’81) il Bologna tanto caro a Nerio, così come entrambi sono stati a preparar tattiche a Treviso, avamposto del Veneto industrializzato.

Grandi e grandissimi sempre, ma straordinari nell’allenare le città del loro cuore. Approdarono alla Zinella (Bartolini e Mapier) Bologna e al Torino in due momenti storici differenti. Gigi Radice venne chiamato dal presidente Pinelli nell’estate del 1975, il Torino gravitava tra la quinta e la sesta posizione dopo aver sfiorato nel campionato 1971-72 lo scudetto. Non si voleva vincere subito, ma tornare a competere ritrovando appieno la filosofia del Filadelfia: il tremendismo granata. La storia di Nerio a Bologna, sua città natale, parte proprio dal quel ’71-’72 anno della fondazione della Zinella. Dieci campionati dopo la squadra centra la promozione in A1 da imbattuta, è il trionfo di Nerio profeta in patria. Con questi presupposti, filosofici e tecnici, i sergenti di ferro si mettono a lavoro per dare battaglia a squadre più forti: la Juventus da una parte, il Torino (altra congiunzione tra Nerio e Gigi) il Parma e la sempiterna Modena, dall’altra.

Mentre Gigi Radice forgia il suo Torino, sul giaguaro Castellini in porta, sulla fantasia di Claudio Sala all’ala (ma in verità trequartista) e sui gemelli del gol Pulici e Graziani, Nerio vince la Coppa Italia. E’ il 1984 e a Forlì il suo Bologna batte Asti, Modena e l’ultimo grande Torino nella pallavolo, a spiegare quello che Napoleone sosteneva sul caso: granello del nostro tempo che occupa una posizione matematica nelle nostre vite. Quella vittoria di coppa è la più romantica per Zanetti perché racchiuse tutta la sua filosofia sportiva fatta di attenzione e rispetto per l’avversario, di conoscenza dei dettagli e delle finezze della pallavolo. Una vittoria che ricordava quella dell’altro grandissimo Bologna di Fulvio Bernardini, vent’anni prima.

Intanto Gigi Radice, in questo ideale viaggio nel tempo, sta tallonando nel campionato 75-76 la Juventus di Carlo Parola campione in carica. Dopo l’iniziale vantaggio qualcosa si inceppa e la cinica Juve va in tilt. Emerge, allora, prepotente il carattere di Gigi Radice sergente di ferro. Non l’aveva chiamato Pianelli per ridare vigore al tremendismo che fu? E Gigi da sergente qual’era capì che quello era il momento di serrare le fila. Il Torino carica, come ai bei tempi di quando la gloria lo fece Magno. Carica e vince quattordici partite in casa. Claudio Sala inventa, Pulici in tuffo segna gol a raffica e Ciccio Graziani canta e porta la croce. La Juventus è annichilita e cede, il 16 maggio 1976 cade a Perugia mentre il Torino pareggia in casa con il Cesena ed è campione per la settima volta nella storia della serie A.

Pianti, abbracci, sorrisi, il ricordo del Grande Torino è il santo Graal che con il suo lavoro meticoloso e coraggioso il forte Gigi ha raggiunto. Quando a fine partita Paolo Frajese lo intervista, lui si dice rammaricato per aver pareggiato e li c’è tutta la voglia di vincere, di inseguire un sogno, di farcela. Il Torino è campione meritatamente e Gigi Radice è nel Pantheon degli allenatori scudettati, da sergente è divenuto generale.

A Bologna, intanto, Nerio Zanetti costruisce e rifinisce ogni giorno la sua piccola e magica ceramica. La squadra gioca senza pensieri, senza ordini dittatoriali, senza assillo, ma potendo esprimere tutto il suo talento. Così Gianmarco Venturi, palleggiatore ravennate, può orchestrare il gioco con fantasia su centrali come Carretti e Squeo che non sono dei campionissimi del ruolo, ma lottano come gli ha insegnato Nerio l’orientale. Oltre a loro c’è Babini che registra difesa e ricezione e Stelio De Rocco, mister Crocodile Dundee, schiacciatore canadese che indossa la numero dieci. Dopo la regular season, c’è la finale con la Panini Modena stordita da tanta baldanza bolognese e da fronde interne. Contro tutti i pronostici vince Nerio col suo gruppo di ragazzi che sono diventati una squadra: non saranno Bulgarelli, Fogli, Perani, Pascutti, Haller, ma hanno cuore da vendere così come gli ha insegnato il sergente Nerio divenuto ammiraglio.

Dopo il trionfo Gigi Radice ha continuato a lottare per lo scudetto per due campionati e poi è tornato al Torino, dopo la fugace permanenza in Puglia e in Lombardia, nel 1985 sfiorando la nuova impresa scudetto con Leo Junior proprio nell’anno in cui Nerio ha fatto piangere di gioia la città delle due Torri. Poi per il grande Zanetti ancora una finale contro il guru Velasco che per lui aveva una profonda ammirazione, quindi il successo internazionale in Coppa delle Coppe contro il Levski-Spartak Sofia nel 1987 a emulare il Bologna continentale degli anni ’30. Il viaggio verso Treviso e un’altra finale ad affrontar Velasco di nuovo, prima di costruire l’ultima ceramica a Schio insieme ad un altro orientale del gioco come lui: Kim Ho Chul.

Alla fine delle loro avventure per le vie delle città italiane, Nerio e Gigi, hanno smesso di allenare nello stesso anno il 1996, in un altro incredibile parallelo napoleonico. Nella Genova che accende il cuore al giorno al pensiero del gonfalone rossoblù, Gigi Radice chiuse la sua carriera. In quell’anno Nerio Zanetti riportava Schio in serie A1 prima di ritirarsi a 56 anni per dedicarsi alla famiglia. Ci hanno lasciato quasi all’unisono Nerio e Gigi, a distanza di un anno, tra il 2017 e il 2018, tutti e due sono stati sergenti di ferro, campioni d’Italia e brave persone.

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