Di Matteo Quaglini
Aleksander Skiba e Nils Liedholm sono stati dei maestri della foresta. Entrambi hanno incarnato, cioè, una grande figura che arriva dall’oriente e che dà al ruolo dell’allenatore una sfaccettatura e una connotazione più completa e profonda: quella dell’insegnante.
L’allenatore, infatti, non è solamente colui che organizza la tattica o colui che gestisce i giocatori a sua disposizione, è anche una guida spirituale e filosofica. Un professore a tutto tondo, aperto e visionario. E’ il maestro che avendo una conoscenza totale dell’argomento sa trasmetterlo ai suoi allievi in tutti i particolari, suscitando in loro la curiosità e la capacità di apprendere da soli nuovi saperi.
Aleksander Skiba, polacco di Rokitów e Nils Liedholm svedese di Valdemarsvik sono stati, nella pallavolo e nel calcio questo: due maestri zen, due guru dell’insegnamento della tecnica, due guide capaci di dare corpo al talento grezzo trasformandolo nella pietra che leviga il giocatore e lo trasforma in campione.
La loro è una grande figura tecnica, per utilizzare un assioma spagnolesco, perché hanno saputo andare oltre il cliché del compitino del bravo e disciplinato allenatore, riuscendo a sviluppare un’idea, un pensiero su tutti: il talento si può mettere in campo se la tecnica è rifinita nei minimi dettagli.
Con questa filosofia nel cuore e nella mente, hanno cominciato ad allenare in giro per il mondo dopo essere stati dei fuoriclasse da giocatori. La militanza nelle rispettive nazionali, li ha avvicinati a questo modo di pensare basato sulla diversità. Aleksander Skiba era nato nel 1946, un anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e ha ventuno anni aveva esordito nella nazionale polacca di pallavolo. Era il 1967 e la Polonia non contava molto nella geografia della vittoria sotto rete. Il dominio spettava, in quegli anni, all’Unione Sovietica, alla Cecoslovacchia, alla Germania Est. Con Skiba e altri grandi campioni in squadra tutto cambiò, in un decennio memorabile che accosterà quella Polonia a quella dei Lato e dei Deyna: dioscuri di Monaco ’74. Riuscendo, anche, ad andare oltre i loro connazionali della pedata fino alla vetta del titolo mondiale a Messico ’74 e a quella olimpica di Montreal ’76.
Quello di Aleksander Skiba fuoriclasse delle schiacciate fu, un po’, lo stesso percorso del grande Nils Liedholm passato alla storia come il “Barone” del calcio. Quella che diventerà una leggenda della Svezia che calcia un pallone, era una stella nata nell’ottobre del ’22 che grazie alla pratica di altri sport come il bandy, aveva sviluppato un fisico e una cura per la tecnica eccezionali. Così Liddas all’età di ventisei anni guidò la Svezia al titolo olimpico, nella Londra del 1948, proprio come farà Aleksander ventotto anni dopo.
Al grande Liedholm non riuscì di vincere il mondiale perché di fronte a Pelé quasi nessuno ha potuto opporsi però l’onore delle armi di vice campione del mondo, resta. Era il 1958 e Nils che quell’anno aveva incontrato in un’altra finalissima, in un pomeriggio da Campioni, un altro magnifico come Alfredo Di Stefano, capì un concetto che poi avrebbe sviluppato in tutta la sua carriera di allenatore: il talento va tirato fuori dai piedi e dal cuore degli allievi.
E una volta tirato fuori va indirizzato perché trovi il suo sfogo di classe e fantasia sul rettangolo verde. Una legge che aveva sposato anche Skiba in quelle torride nottate mondiali e olimpiche, dove il talento polacco sgrezzato in precedenti durissimi anni di lavoro, trionfò sui mammasantissima sovietici.
Sull’idea di aprire al talento e lavorarlo come Raffaello e Michelangelo facevano con la materia grezza, iniziò la carriera in panchina dei due maestri della foresta. Aleksander Skiba esordì subito nel 1978 nella grande pallavolo internazionale alla guida, in Coppa Campioni, del Ploncin Milowitze mentre Nils Liedholm iniziò dai ragazzi del Milan un attimo dopo aver smesso di giocare, nel 1961. Due approcci diversi che proseguirono con l’approdo sulla panchina della nazionale polacca per Aleksander e il giro d’Italia nella serie cadetta di fine anni ’60 inizio ’70 da Monza a Varese, passando per Verona per Nils. Il punto che congiunse esperienze così diverse fu quando nel 1983, l’anno magico di Liedholm campione d’Italia con la Roma di Conti e Falcao, Skiba venne chiamato in Italia ad allenare la nazionale juniores di pallavolo.
Lì il percorso tecnico del campione polacco incontrò gli anni di gavetta del Barone svedese e la filosofia del talento diventò un tutt’uno. Come Nils che aveva formato e disciplinato il talento di Bettega e Antognoni, di Conti e Franco Baresi, di Rocca e Maldini, anche Aleksander trovò la generazione alla quale insegnare il sacrificio continuo dell’apprendimento quotidiano. Erano i ragazzi dell’85, i Gardini, i Tofoli, i Cantagalli, gli Zorzi, i Galli. Divennero sotto la guida del generale polacco, che quando era atleta si gettava in tuffo nelle acque del fiume per temprarsi prima dell’allenamento, vice campioni del mondo e per la prima volta tirarono fuori il loro talento.
Come in Liedholm anche in Skiba fiorì, allenamento dopo allenamento, l’insegnamento alla maniera dei samurai. Insegnarono ciò in cui erano stati grandi da giocatori e come uomini, questo è il famoso insegnamento del samurai e quello che avevano da fuoriclasse lo dettero ai loro atleti: l’uso della mente per sviluppare la visione del gioco e conoscere l’avversario, il ragionamento per far apprendere i modi e i tempi dell’attaccare, il controllo massimo della tecnica per dare fantasia al loro gioco.
Quei ragazzi dell’85 che muravano e attaccavano sotto lo sguardo severo del barbuto generale Skiba diventeranno la Generazione dei Fenomeni di Julio Velasco: campioni d’Italia, d’Europa e del mondo. Esattamente come molti di quelli a cui Liedholm aveva insegnato la tecnica calcistica nel suo viaggio da Ulisse del calcio italiano e internazionale. Due maestri della foresta grandissimi e solitari, perché la troppa competenza e classe in qualche modo si paga. Due maestri della foresta capaci di insegnare il mestiere di allenatori a due grandi coach, un tempo loro secondi: Fabio Capello e Gian Paolo Montali. Due maestri della foresta irripetibili e inimitabili.