Come macigno

Posted By on Ago 25, 2020 | 0 comments


di Gianni Massaro

 

Da Nordahl a Ibra.
Dalla Svezia alla Svezia, dove con furore è sbocciato Zlatan Ibrahimovic, meraviglioso protagonista nell’ultimo tricolore tinto in rossonero.
Erotica leadership, dopo il commiato del Gre-No-Li un pregiato pezzo nella saga del Diavolo.
Gunnar Nordahl aveva contribuito a riportare lo scudetto a Milano sponda casciavit, dopo oltre un quarantennio.
Zlatan approda a San Siro nell’estate 2010, quando il picco italico manca da sei anni, un intervallo lunghissimo per la società berlusconiana, il più duraturo. Giunge l’asso svedese, incide e decide. Un addio maturato al termine di sole due stagioni, appena due anni ed il cordone ombelicale va smarrito. Zlatan è in modalità furiosa, non vorrebbe lasciare Milano, ed il Milan, è perfettamente inserito nell’ambiente.
Sarà un addio faticoso, specie per i sostenitori accaniti ‘indiavolati’, indiavolati veramente con la società.
Oblio, nel limbo, un vuoto profondo. Quasi un decennio, ma le soddisfazioni latitano, considerato un ciclo estatico, passato ipervincente e convincente. Il club è ferito, frastornato, ammalato, reduce da un cinque a zero sonorissimo subito dalla corregionale banda atalantina coordinata da Gasperini.
In un anno mondialmente sciagurato, e catastrofico, i ragazzi di Pioli iniziano una crescente tappa itinerante, destinazione: stupire gli scettici.
Zlatan si scalda, i rossoneri saranno la squadra in grado di collezionare più punti nel mini torneo anormale avviato a giugno e concluso ad agosto.
Ruolo chiave, e ruolo maniglia, nonché cardine portante, Ibracadabra non ha smarrito il senso del gioco e il vizio positivo del gol.
Una marcia nauseabonda prima dell’avvento divino, un uomo con la 21 sulle spalle, a formare in somma un esemplare tre, numero di aulica simbologia. Un miglioramento abbondante, il metà divino Zlatan apporta un sostanzioso cambio di mentalità in chi lo attornia, aura superiore: epifania.
Panni da James Bond, si pone di salvare un popolo, sofferente da tempo. Non vince, come l’alieno CR7, non soffoca i compagni di squadra.
Centrifuga estiva di partite, canalizzazione ibrahimoviciana non soltanto centripeta. Si muove per il campo, regista aggiunto, tuttofare, giardiniere a Milanello, dirigente e match analyst, è una nuova ventata vecchia. Trentotto anni compiuti, missione riportare il Milan in alto. Evangelico, eroico, arguto, cinematografico, alla Benjamin Button, si “appropria” persino di altrui volti.
Non è più il destriero selvaggio, si muove con acuta intelligenza, diligente e risoluto, in metà stagione arriva alla doppia cifra: 10 gol in A, 11 con il ruggito ai danni del Toro in Coppa Italia.
Nuove vitamine, rinnovate proprietà anatomiche, Z.I toglie il dolore, anodino ma senza placare la propria furente vitalità.
È un energico soffio vitale; iodio, dio egocentrico, sodio, ripetizione aitante, sfacciata ed efficiente di una dimensione extraterrestre.
Calcio, allo stato puro con l’anziano codino di Malmö. Per la serie: l’età è solo un numero, nume-eroe, numeroe.
Ne nascono pochissimi in un secolo.

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