Plomien Milowice e Nottingham Forest, i Robin Hood della Coppa Campioni

Posted By on Ago 25, 2020 | 0 comments


Di Matteo Quaglini

Nella storia della Coppa dei Campioni ci sono state due squadre che hanno giocato alla Robin Hood, per “rubare” ai ricchi e dare ai “poveri” il sogno più bello. Quello della vittoria della Coppa per eccellenza. Il trionfo oltre il quale nessuna sconfitta può più intaccare la gloria raggiunta. I polacchi del Plomien Milowice furono dei Robin Hood della palla in aria quando “rubarono” la Coppa all’impero del Cska Mosca campione in quattro delle precedenti cinque edizioni. Era il 1978, l’anno in cui “The Genius” Brian Clough vinse con i suoi alfieri la First Division nell’Inghilterra draconiana. L’anno dopo, nel 1979, quel Nottingham Forest tese l’agguato nei boschi stringenti della selva del football internazionale, ai cavalieri degli sceriffi chiamati Liverpool e Bayern Monaco. E il bottino “dei campioni”, venne arpionato. Era quel Forest la squadra più calzante ad assumere il ruolo che nella foresta di Sherwood fu di Robin Hood, perché come l’eroe popolare delle leggende britanniche era il simbolo di un sogno. Non nobile decaduta come il ladro gentiluomo, ma invenzione grandiosa e inattesa di Clough. Una squadra di arcieri.

Chissà se i ragazzi di Polonia, tra un allenamento e l’altro, avevano letto delle avventure del buon Robin Hood contro i gotici che dominavano la Contea. La loro indole nasceva come per il nobile sassone decaduto, dalla diversità. La società, che era una Polisportiva, venne fondata nel 1929 dai Vigili del Fuoco della miniera di Victor nella città di Sosnowice vicino Cracovia un tempo capitale della orgogliosa Polonia. Su questo orgoglio di classe avevano fondato la loro vita da atleti. Il suo mentore era Aleksander Skiba, campionissimo da giocatore e fuoriclasse da allenatore. In molto somigliava all’irruento e polemico Clough. Era anche lui, come il capo di Middlesbrough, un rigorista della disciplina tempio di tutta una filosofia di vita prima che di sport. Quando allenava Aleksander Skiba forgiava i giocatori nel cuore oltre che nella tattica o nella tecnica, per questo è stato un grandissimo della palla in aria. Il tempio di Skiba e Clough era la severità con cui costruivano le squadre, ed era un tempio inaccessibile ai rivali infedeli che non la pensavano come loro.

Con la forza della resistenza e la tenacia dei vincenti, il fuoriclasse campione del mondo ’74 e l’ex centravanti del Sunderland degli anni ’60, guidarono alla vittoria in campionato per la prima volta il Plomien Milowice e il Nottingham Forest. Le porte per il bosco magico e medievale che ospitava i campioni nelle notti di coppa erano schiuse. Alla partenza della Coppa 1977-78 incredibilmente non ci sono russi, bulgari e romeni, il meglio della pallavolo europea. Così è un’altra Polisportiva l’avversario dell’esordio per gli schiacciatori – minatori allenati dal Liedholm della pallavolo, il Panathinaikos esercito pallavolistico che inorgoglirebbe anche Alessandro Magno.

Il Plomien vince e passa al secondo turno dove incontra la FederLazio dei tre principi di corte fiorentina, Mattioli, Nencini e Salemme. A Roma, nel Palazzetto di Viale Tiziano, i campioni d’Italia vincono 3-1, ma gli arbitri greci a detta dei polacchi ne combinano di tutti i colori. Tornano alla mente le urla di Brian Clough quando negli spogliatoi del Comunale di Torino inveii, cinque anni prima, contro la Juventus, la Federazione italiana e l’arbitro al grido di «cheating bastards!» imbroglioni bastardi. Così tanto per aver qualche amico in più nei torbidi del football europeo. E’ Wlodzimierz Sadalski a denunciare gli abbagli dei direttori di gara greci, forse in preda a una sadica vendetta in nome del Panathinaikos.

In questo mare magnum di pettegolezzi, accuse, intrighi di corte, si ribalta anche per un momento il vecchio stereotipo delle palestre: i furti non sono dei Paesi dell’Est. E’ il ripetersi, nelle schermaglie, dello scontro millenario tra Occidente e Oriente. Due visioni del mondo e della pallavolo diverse. Al ritorno gli uomini di Skiba, che predica l’umiltà e bandisce il divismo così come la vittoria a tutti i costi, vincono 3-0: la rimonta è completata. Ma non manca un riferimento polemico verso una filosofia che nell’Est Europa non amano e che combattono ferocemente: «gli italiani non erano tanto forti» dirà Waldemar Wspanialy.

E’ la frase manifesto dei “luterani” contro gli “ecclesiastici”, degli orientali contro gli occidentali, dei rivoluzionari contro i moderati, dei guerrieri contro gli imperiali. Ed è una lotta di ideologia socio-sportiva che rovescia, a seconda dell’angolatura, i ruoli all’infinito. Nel frattempo, però, i polacchi, mentre si scagliano contro il capitalismo dello sport Occidentale come ribadirà anni dopo Skiba criticando Mc Enroe, sono a Basilea per le finali della Coppa dei Campioni.

L’esordio assoluto del Nottingham Forest di Brian Clough arriva nel settembre del 1978 e di fronte c’è il magno Liverpool, due volte campione d’Europa in carica. A Nottingham nemmeno Souness e Bob Paisley possono resistere al sillogismo fascinoso e mistico della storia: siamo nella città di Robin Hood e la leggenda diventa realtà. Due gol senza che Shilton ne subisca, e i ricchi hanno ceduto ai poveri un po’ del loro prestigio e della loro gloria.

Al ritorno nella fortezza di Anfield sembra proprio di assistere a quelle battaglie dell’Inghilterra medievale tra i Lancaster e gli York. Il Nottingham resiste e impone lo 0-0 storico che elimina i campioni dal torneo. Anche il ladro gentiluomo esulta. Dopo il Liverpool anche per Clough e i suoi arcieri è tempo di greci. Ma l’Aek Atene non può resistere più di tanto e cede il passo sotto la valanga di sette gol. Così come anche gli svizzeri del Grasshoppers sono eliminati con un complessivo 5-2 che mantiene il Nottingham imbattuto da sei partite e capace di eliminare anche gli eredi di uno degli eserciti più forti della storia militare. E’ già tempo di semifinali.

A Basilea il Plomien Milowice batte 3-0 i turchi del Bornkay Istanbul e conferma che il tempio di Skiba è inattaccabile e non fragile come quello di Costantino IX all’alba della fine dell’impero d’Oriente nel 1453. Poi i vigili-minatori sconfissero i campioni d’Olanda dello Starlift Voorburg con un netto 3-1 che li avvicinò a un passo dalla Coppa dei Campioni. Nell’altra Coppa, invece, l’avversario era ancora una volta terribile: si trattava di lanzichenecchi. Il terribile esercito di Carlo V riviveva nel Colonia di Schumacher e Schuster. A Nottingham per tre volte i robinnudiani di Brian Clough tentano l’assalto al forziere e pur valicando la porta del gran dittatore Harald, per tre volte vengono riacciuffati dalle lance dei truci lanzi. E’ 3-3 e il Colonia è per tutti gli osservatori a un passo dalla finale.

Quando si incarna Robin Hood però tutto è possibile. Nella tana del Mungersdorfer Stadion i lanzichenecchi di Weisweiler, padre del grande Borussia Moenchengladbach, attaccano e cercano nel druido van Gool che gioca nelle loro fila, il karma della rete della vittoria. Lo spalleggiano i nazionali Cullmann che sale dalle retrovie e Dieter Muller mentre Schuster orchestra la regia. Tutto fermo fino al 65′ quando Ian Boweyer scocca la freccia che trafigge la stella di latta degli sceriffi renani. E’ fatta, il Nottingham è per la prima volta in finale di Coppa Campioni proprio come l’anno prima il Plomien.

Già, cosa stanno facendo i ragazzi polacchi in quel di Basilea? Li avevamo lasciati a una partita dalla vittoria e si che l’avversario era abbordabile, i cecoslovacchi dell’Odolena Voda. Massima vuole che nello sport la politica non debba entrare o almeno l’ideologia. Così, per via di molti casi a infinite latitudini, sempre però non è. Il Plomien in cuor suo spera che l’Odolena, squadra cecoslovacca, non opponga grande resistenza e lasci che una formazione del Blocco comunista vinca ancora la Coppa Campioni che tanto l’Europa “americana” brama.

I cechi però sono fieri e non cedono un centimetro non pensando minimamente alla politica. Ne viene fuori una battaglia. Vince il Plomien per il rotto della cuffia 3-2, una sconfitta avrebbe significato la vittoria degli olandesi del Voorburg. Il trionfo, incredibile e fiabesco, è giunto e al ritorno nell’amata Polonia la banda dei minatori accoglie i nuovi campioni d’Europa: i ragazzi del mitico Plomien. Anche i calciatori simbolo della Polonia anni ’70 si aggiungono alla festa, partono i brindisi da rito pagano. In alto i calici per Skiba e per i suoi pallavolisti, con la firma di Lato la guizzante e velocissima ala destra capocannoniere a Monaco ’74 e di Tomaszewski fuoriclasse della porta degno erede di Planika e Yashin.

Intanto, l’anno dopo, il ’79 del Forest che non conosce sconfitta, la finale della Coppa dei Campioni di Monaco di Baviera è sullo 0-0. E’ una partita “sovversiva”, nel senso che sovverte la storia. Un tempo, molto lontano, gli svedesi e i popoli del Nord invasero la Costa Orientale della Britannia romana e insieme agli autoctoni istillarono il sangue della futura Inghilterra. Qui, invece, lungo un campo verde di cento metri, sono loro i sudditi di sua maestà ad invadere la metà campo del Malmö che gioca con undici ragazzi di Svezia.

Bob Houghton, l’allenatore inglese dei campioni di Svezia, sa che d’altra parte gli arcieri a disposizione del polemico Brian Clough sono tanti e tutti combatteranno per il loro Robin Hood. Ci sono gli scozzesi Kenny Burns, John McGovern il capitano e John Robertson, tre impavidi guerrieri. Ci sono gli inglesi Peter Shilton, portiere mito, Ian Bowyer il giustiziere del Colonia, Garry Birtles il centravanti e un giovane Trevor Francis che tra poco diventerà sir. Al 45′ del primo tempo cross laterale e Trevor infila di testa in tuffo Möller. La frecciata alla Robin Hood è arrivata, finalmente.

Il Malmö nel secondo tempo prova a rovesciare la partita e all’83° mette in campo l’attaccante Tommy Andersson, ma non c’è più tempo. I Robin Hood di Nottingham hanno “rubato” la Coppa e se la tengono stretta, ormai eretta a idolo magico. Il Nottingham vincerà anche quella dell’anno dopo, il 1980, nella Madrid non più franquista. Il Plomien dopo aver rivinto il campionato nel 1979 entrò in una crisi economica fortissima, fu allora che i dirigenti pensarono di mettere in vendita la Coppa. Ma siamo di fronte o non siamo di fronte a dei Robin Hood? Così i giocatori del Plomien campione d’Europa rubarono, stavolta veramente, la grande Coppa per salvarla dalla vendita che sapeva di acre odore di soldi mentre per loro rappresentava il sogno raggiunto. Poi, quando la crisi finì, la restituirono. Come Robin Hood restituiva ai sognatori il bottino dei predatori che gliel’avevano portato via.

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