Juventus e Modena, Coppa Italia che passione Vol. 3

Posted By on Set 5, 2020 | 0 comments


Di Matteo Quaglini

Milano e Roma sono state due capitali dell’Impero romano. Milano e Roma sono state due città teatro di battaglie e assedi, roba da emozioni forti. L’una, tra le sue strade dove scorrono i navigli, ha combattuto le sue Cinque Giornate contro gli austriaci. L’altra ha subito l’assalto di Visigoti e Vandali, di marescialli e truppe napoleoniche come di lanzichenecchi guerreschi, arrabbiati e predatori. Il clima è stato sempre lo stesso, quale fosse la circostanza: quello del tutto o niente. Un principio che nella storia è pericoloso e affascinante.

Un modo di interpretare il duello pericoloso e fascinoso anche nello sport, che delle battaglie è tatticamente e strategicamente il simulacro. Il pericolo della sfida western leoniana, quella cioè che deve stabilire senza appello un vincitore e uno sconfitto, sta nel fatto che delle volte può capitare che l’esercito o la squadra battuta non vengano riconosciute dal vincitore per il loro valore. E’ in questo punto di confine che il “niente” diventa oblio nella storia di una partita.

Il fascino, invece, è quello della sfida epica, diversa per concezioni tattiche, per virtuosismi tecnici, per ideologie sportive, per impostazioni strategiche. E’ in questa doppia chiave che Milano e Roma sono state, anche nel calcio e nella pallavolo, delle capitali di battaglie sportive. Una manifestazione le ha unite, la Coppa Italia. Due finali, a distanza di cinque anni, raccontano una ulteriore tappa nella storia nella coppa nazionale di Juventus e Modena. Il 25 aprile del 1990 davanti agli 83.561 aficionados della San Siro milanista, la Juventus di Dino Zoff gioca la finale di ritorno della Coppa Italia contro il leggendario Milan dei tulipani olandesi. I ruoli che erano nelle cronache storiche si invertono, la Juventus è per una volta la squadra degli insurrezionalisti mentre il Milan è l’impero Asburgico.

Le parti che si invertono caratterizzarono anche l’altra finale di Coppa Italia, quella di pallavolo del 1995 tra la Sisley Treviso e la Daytona Modena. La squadra di Montali scende a Roma con la stessa sicumera con cui scese, in Italia, l’esercito di Carlo VIII nel 1494 all’alba delle Guerre d’Italia. Dall’altra parte della rete ci sono i campioni in carica della coppa, la Modena che nella pallavolo è storia di uno Stato Territoriale che resiste all’avanzata dell’esercito conquistatore. Il teatro della contesa è la Roma degli anni ’90 post prima Repubblica dove il 4 febbraio 1995, 12.411 innamorati della pallavolo si convogliano per assistere alla finale tra guelfi e ghibellini, tra pizzarristi e almagristi, tra napoleonici e monarchici, assiepando le tribune del Palazzetto dello Sport dell’Eur.

Di fronte il meglio della pallavolo nazionale con tante sfide nelle sfide. E’ la partita dell’eterno scontro, come per il Milan-Juventus di cinque anni prima, teatrale tra Gassman e Carmelo Bene, un duello che nasce già nell’interpretazione della gara. Alcuni svilupperanno la classicità del gioco altri la sua poetica.

L’approdo alla finale di Coppa Italia di calcio del 1990 è tortuoso per Milan e Juventus. Un solo gol in due per superare, nell’agosto del 1989, la fase eliminatoria. La Juventus vince a Cagliari per 1-0 dopo i supplementari, il Milan è costretto a riproporre la versione emiliana dei rigori di Belgrado contro la Stella Rossa per aver ragione di un Parma di cui si sentirà presto parlare. Nel secondo turno arrivano altre due vittorie di misura: la Juventus batte 2-1 il Taranto mentre il Milan vince con un gol di vantaggio a Cremona. A quel punto è la volta della fase a gironi. I campioni d’Europa che da alcuni anni stanno rinverdendo la famosa frase del fondatore Kilpin “Saremo una squadra di diavoli”, dopo aver battuto 6-0 il Messina, acciuffano la semifinale con un rigore al 90′ di Franco Baresi che in questa storia di soldati guerreschi ci sta perfettamente, lui che è stato fuoriclasse tra i guerrieri.

Come il Milan anche la Juventus afferra la semifinale dagli undici metri, rigore mancino di De Agostini al minuto 87′ della partita con la Sampdoria di Mancini e Vialli e il gioco è fatto. In semifinale emerge il carattere delle due rivali di sempre. Il Milan dopo il pareggio di San Siro per 0-0 va a vincere 3-1 a Napoli ed è il segno della sua diversità. Come Carmelo Bene, la squadra di Sacchi è l’avanguardia del teatro calcistico italiano. Le sue grandi finali, i suoi grandi approdi sono scanditi dalla forza e dalla grandezza di essere vincenti in campo avverso dove tutti con naturalezza antropologica ti sono nemici prima ancora che rivali. Era questo il metodo scenico più amato da Carmelo Bene, perché incarnava la poetica diversa per definizione dalla maestosa prosa classica. La Juventus, invece, giocò la sua semifinale con la Roma alla maniera di Vittorio Gassman, altro incommensurabile intoccabile del teatro italiano. Dopo aver vinto 2-0 al Comunale di Torino, nel fortino casteriano del Flaminio alla fine del primo tempo la squadra di Zoff perde con lo stesso punteggio. E’ lì che emerge il tratto alla Gassman, quello del saper resistere alle proprie insicurezze, alle proprie paure interne, ai molti timori. Prima Alessio e poi Schillaci, non ancora in versione notti magiche, pareggiano e vanificano il terzo gol di Tempestilli: la Juventus è in finale alla ricerca della sua ottava Coppa Italia.

Nei quarti della pallavolo la Sisley Treviso elimina la Gabeca Montichiari, ma un dettaglio ai più nascosto ne spiega forza e debolezza. Dopo aver vinto fuori casa 3-0 e conquistato al ritorno il primo set che gli serve per andare in semifinale, perde 3-1. E’ il segno che la tensione della squadra è delle volte labile e incline ad allentare i ranghi come capitava a volte agli eserciti di Carlo VIII o a quelli austriaci e prussiani nei primi anni caldi dei trionfi di Napoleone. La Daytona Modena è un complesso che sprigiona una personalità da ultimo grappello di sopravvissuti di Pedro de Valdivia che esce a cavallo incontro a 10.000 mapuce, in maniera audace anche se sono loro ad aver ragione di lotta e non gli spagnoli. La Modena che ricalca l’organizzazione fredda e inflessibile dell’esercito prussiano di Federico il Grande non perde un colpo e infila tre vittorie su tre partite. Cade prima l’Olimpia Sant’Antioco poi Cuneo che ha tra le sue fila grandissimi marescialli della palla in aria, da Papi a De Giorgi, da Lucchetta al lupo Ganev cannoniere di Bulgaria.

Intanto in semifinale Treviso ha battuto un altro grandissimo, Bebeto, l’allenatore del Parma pallavolo che costruiva le squadre come Leonardo da Vinci approntava i suoi mille progetti di divulgazione del nuovo. Dopo tanto peregrinare è ora delle finali. Il Milan, quel 25 aprile 1990, forse si sente un po’ scomodo impegnato com’è in una lotta serrata con Maradona per lo scudetto e affascinato dall’Europa per rivincere la Coppa dei Campioni. I fronti aperti sono tanti e la storia militare insegna: è difficile controllarli tutti.

La Juventus è più libera mentalmente anche se pure lei pensa alla Coppa Uefa che la sta portando in giro per l’Europa. Davanti agli 83.561 tifosi che amano l’inferno diavolesco come Dante ce lo ha raccontato, Milan e Juventus si giocano l’edizione numero quarantatre della Coppa Italia. Si parte dallo 0-0 dell’andata. E forse anche per questo il Milan non si sente a suo agio, deve rinunciare a fare il “Carmelo Bene”, ma nei panni di Gassman gioca meglio la Juventus, da sempre. Inoltre non ci sono Maldini, Ancelotti e Gullit lungodegente da inizio stagione per infortunio. All’inizio della partita il Milan attacca con van Basten, Donadoni, Rijkaard e Massaro la primula rossa di Sacchi, ma la Juventus disposta con la sua classica zona mista tiene il campo. E poi punge, alla Muhammad Alì. Al 17′ Galia segna e la storia travolge il grande Milan. Roberto Galia, mediano volitivo e tenace, è nato a Trapani nella punta più a Occidente della Sicilia. Nella sua azione c’è l’orgoglio siciliano mai domo, c’è la forza dell’isola romanizzata dall’impero, c’è la riverenza verso gli antichi bizantini per i quali bisogna combattere anche quando come nel caso del Milan campione d’Europa, l’avversario è più forte. C’è anche nell’assolo-gol del mediano siciliano la voglia di affermare la propria fede juventina, così come Federico II aveva insegnato: essere forti tutti insieme, nelle diversità.

Il Milan reagisce ma la poca comodità dell’inizio è ora conclamata, è abituato alla poetica dell’impresa fuori casa se gioca solo di prosa diventa prevedibile. Manca il pathos e con esso la carica cavalleresca. La Juventus controlla con i difensori Napoli, Bruno e Bonetti, amministra a centrocampo con Marocchi e Galia, corre in contropiede con De Agostini, Schillaci e Casiraghi. E alla fine vince. E’ l’ottava Coppa Italia della sua storia. Dopo tanti personaggi è la numerologia a farla da padrone, ora. La Daytona Modena, davanti ai 12.411 fedeli della pallavolo, è avanti 2-0 sullo squadrone di Montali che gioca con i suoi assi nazionali un po’ come il grande esercito austriaco battagliava contro le truppe di Napoleone, disordinatamente cioè. I duelli individuali vengono vinti tutti dai modenesi. A cominciare da quello degli allenatori con Daniele Bagnoli che somiglia a Sun Tzu nel gestire la partita. Del grande generale cinese il coach mantovano prende la filosofia del conosci te stesso e il tuo nemico e certamente vincerai e la rovescia sui campioni del mondo e d’Europa della Sisley Treviso. Il suo grande avversario Montali si infuria come faceva Hontario Nelson, ma stavolta la ferocia nello scatto a muro e in attacco rimane negli obici dalle polveri bagnate di Bernardi e Zorzi, nelle veloci prevedibili di Gardini, nella regia monocorde di Paolino Tofoli.

Se Montali sulla plancia di comando e i suoi sul parquet sono fermi come lo erano gli austriaci a Ulm mentre sbigottiti vedevano marciare a passo spedito la Grand Armèè dell’orco corso, i giocatori di Modena controllano il gioco e lo impongono. Ognuno fa l’azione giusta all’interno dell’economia della squadra. E così Fabio Vullo, il miglior palleggiatore italiano sembra Giulio Cesare al comando delle operazioni, Bracci attacca con feroce leonina da spartano qual è, Cantagalli randella dalla linea di battuta, Olikhver mura e sembra Ivan il Terribile. Sul 2-0 Treviso ha un sussulto e vince il terzo set 15 a 9, ma Modena tiene botta abbattendo le malinconie del non farcela e recita il quarto set alla Gassman, magistralmente cioè. E’ 15-4 per l’ottava Coppa Italia come nel 1990 per la Juventus. Una coppa da mattatori.

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