Il nuovo impero di Francia

Posted By on Set 24, 2020 | 0 comments


Matteo Quaglini

La Francia campione del mondo, due anni fa, in Russia nasce da lontano. Nasce da Just Fontaine, il capocannoniere del mondiale svedese 1958, da Michel Platini le Roi per tutti i francesi della “grandeur” anni ’80. E dalla Generazione d’oro del decennio 1996-2006, quella che divenne campione del mondo e d’Europa eguagliando la grande Germania Ovest di Beckenbauer e del bomber implacabile Muller nonché del cervello di centrocampo Overath, imperatori del Sacro Romano impero chiamato campionato del mondo.

Il presente della Francia è dunque nel suo passato: una lunga serie di esperienze felici e non, per arrivare a essere nell’albo d’oro delle regine del mondo. Un ruolo che la Francia ha recitato col tempo e prendendo il “suo” di tempo, proprio come fu per la formazione socio-culturale della sua storia nazionale. Allora in quella che era stata la Gallia romana si insediarono i Franchi e furono i Pipinidi prima e i Capetingi poi a dare il senso di blocco unico al Regno di Francia poi consolidatosi dopo la divisione del Sacro Romano impero di Carlo Magno.

Nella storia del football francese del ‘900 tre personaggi incarnarono la figura dei Pipinidi e dei Capetingi, cioè quella di fondatori della Francia campione del mondo in carica: i primi, accomunati nello stesso nome, furono Michel Platini e Michel Hidalgo, il “dieci” e la “mente” dell’illuminismo anni ’80 capaci di predicare la nuova identità del calcio francese finalmente aperto al talento. Poi come “Padri della Patria” vennero i ragazzi della Francia multietnica di fine anni ’90.

Giocavano nell’under 21 ed erano forti e talentuosi. Rappresentavano il futuro. Erano la speranza di un domani da presa della Bastiglia, rivoluzionari della monarchia del calcio internazionale governata allora da Brasile, Italia, Germania. Erano il manifesto vivente che con i dribbling stretti di Zidane, il passo di Pires, il senso del gol di Trezeguet e Henry, la classe nell’opporsi all’avversario di Thuram, si potesse sognare un domani da impero napoleonico, quindi da vincenti nel mondo.

Lo divennero nell’estata del 1998, esattamente ventidue anni fa, battendo il magno Brasil di Roberto Carlos e Ronaldo, di Rivaldo e del “governatore” Carlos Gaetano Verri meglio noto come Dunga. Contro i favoriti naturali, contro i penta campioni, contro quelli che per dinastia sono fuoriclasse per acclamazione venne fuori l’altro “dieci” di Francia, il maresciallo dell’impero: Zinedine Zidane.

Algerino d’origine, marsigliese nel cuore, girondino, riuscì laddove avevano mancato tre grandi campioni con Ginola, Papin e Cantona. Marcò il cuore dei francesi in una notte indimenticabile nella Parigi finalmente consacrata a città “mondiale”. Due colpi di testa a battere Taffarel, il Brasile e il passato nefasto che proprio lì, nella città della Tour Eiffel, di Notre-Dame e di Versailles, aveva vissuto il suo senso più grande. Al Parco dei Principi, il ballo di gala della Francia 1994 era stato dominato da Israele e Bulgaria. Kostadinov e i suoi compagni eroici e raminghi avevano eliminato dai mondiali americani una Francia presuntuosa e avvolta solo da vana sicumera.

Due tratti su tutti hanno animato da sempre i “franciosi” per usare una parola da giornate della repubblica Romana quando gli idealisti del 1848 combattevano gli imperialisti: orgoglio nazionale smisurato e l’idea di essere i più grandi. Da qui la volontà, sconfinata, della restaurazione del potere da Ancien Regime, quello intravisto nelle semifinali mondiali del 1982 e del 1986 dalla Francia dal calcio champagne di Platini, Rocheteau e Giresse.

Pungolati nell’orgoglio da due sconfitte contro la solita, atavica nemica Germania, si rivolsero all’accademia di Clairefontaine, la Corverciano francese, la quale sfornò i ragazzi del ’98 molti dei quali giocheranno anche la finale del 2006 contro l’Italia, a Berlino. Così arrivò la rivincita e il primo mondiale, simbolo della capacità di battere l’ironia di Liberation, il giornale che dopo la Waterloo bulgara del ‘93 titolò: “Francia qualificata ai mondiali del 1998”. Era una battuta corrosiva, perché la Francia quel mondiale lo avrebbe organizzato in qualità di Paese ospitante dell’ride di Jules Rimet. Ma fu anche una battuta pungolatrice che dette a quei ragazzi, poi divenuti campioni, la forza per arrivare a disputare tre finali in quattro manifestazioni internazionali. Lì, nella partita senza appello, seppero battere Brasile e Italia regni del calcio sopraffino o di quello tattico e specializzato.

Era il segno di una nuova diversità con se stessi. Di una capacità rinnovata, quella di saper superare l’ostacolo e fare finalmente l’ultimo passo. Tornando indietro, i 13 gol di Just Fontaine trovarono in Pelé un avversario invincibile, le giocate talentuose e “boemie” di Platini frenarono la loro corsa regale in un incredibile Francia-Germania a Siviglia nel 1982 e poi in Messico quattro anni dopo sempre sbattendo contro il muro della Panzer Division. La Francia dell’ultimo Zidane perse per un rigore, quando l’Italia di Marcello Lippi salì sul tetto del mondo berlinese. Sconfitte che hanno fondato, però, la competitività prima e la vittoria poi della Francia attuale che ancora oggi, infatti, è multiforme e multietnica. E ancorata all’idea della “grandeur”. E’ legata sempre come allora al talento di Griezmann e Mbappé, i dieci della contemporaneità. La novità della nuova Francia dei giorni contemporanei del suo impero calcistico è la quasi imperforabilità in difesa simile a quella del ’98 dei marescialli di Francia, Blanc e Thuram.

Nella Francia campione del mondo e imbattuta in Russia, che oggi esporta il suo calcio fatto di mescolanza c’è tutto il meglio del passato del football francese con un tratto in più: il contropiede. La vecchia Francia saliva nella metà campo avversaria come salivano sul campo delle ultime battaglie i soldati della Vecchia Guardia napoleonica, sempre avanti. Questa nuova Francia è partita da lontano e ha corso lateralmente sbilanciando l’avversario, proprio come faceva Napoleone ai tempi d’oro applicando la sua “manouvre sur le derriere” da contropiede puro. Strategici come l’imperatore, sfarzosi e pieni di se come il Re Sole Luigi XIV e soprattutto campioni del mondo. Chapeau Cousines.

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