INDUSTRIA CALCIO: ECCO PERCHÉ NON DEVE FERMARSI

Posted By on Nov 11, 2020 | 0 comments


di Luca Lippi

È una delle 10 principali industrie italiane, mentre a livello calcistico ha un impatto pari al 12% relativamente al PIL del calcio mondiale. Questo è il sistema Calcio e indipendentemente da chi è tifoso o meno, soprattutto per chi lo pensa un mondo lontanissimo da logiche socialmente più concrete, è giusto suonare la sveglia.

È un’industria vera e propria, procura lavoro a 150 mila persone, versa all’erario molto più di quanto si possa immaginare e rappresenta lo 0,19% del Pil nazionale. È quindi inutile se occupa molto più spazio di quanto si ipotizza meriti. È uno spazio che l’industria calcio si è ricavata di diritto. Di seguito i numeri di questa industria e guai a fermarla.

Dal report Calcio della Figc, rappresenta ventotto milioni di tifosi, 4,6 milioni di praticanti, quasi 1,4 milioni di tesserati e circa 568.000 partite ufficiali disputate ogni anno (64% di livello giovanile).

L’INDOTTO DEL CALCIO secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili (2017-2018) sottolinea che i 3 campionati professionistici hanno superato 3,5 miliardi di euro di valore della produzione (parliamo di Pil nazionale). Aggiungendo anche il calcio dilettantistico il fatturato complessivo sale a 4,7 miliardi di euro.

Il circo del pallone contribuisce direttamente per 742,1 milioni all’economia nazionale, incide sul sociale attraverso l’azione benefica dell’attività per 1.051,4 milioni che lo stato risparmia rispetto a quanto avrebbe dovuto spendere per sostituirne l’attività, in ultimo, ma non ultimo, contribuisce per 1.215,5 milioni in termini di risparmio della spesa sanitaria, insieme a quello delle performance sportive.

Riguardo la contribuzione fiscale e previdenziale, nel 2016 (ultimo dato ufficiale) il calcio professionistico ha sfiorato 1,2 miliardi di euro. I dati non ancora ufficiali, invece ci dicono che solo la serie A ha versato 1,4 miliardi al fisco e ulteriori 0,5 miliardi arrivano dalle trattenute sugli stipendi dei professionisti.

Tornando ai dati ufficiali del 2016, la Serie A pesa da sola per il 72% della contribuzione complessiva, con un dato pari a 856,5 milioni di euro. La voce con la più alta incidenza riguarda le ritenute Irpef (50% del totale), seguite dall’Iva (21%), dalla contribuzione previdenziale Inps (12%), dalle scommesse sul calcio (11%) e dall’Irap (5%). Per grandi numeri, si può dire che su un triennio per ogni euro “investito” dal governo italiano nel calcio, lo Stato ha ottenuto un ritorno in termini fiscali e previdenziali pari a 15,2 euro.

SOSPENDERE NUOVAMENTE I CAMPIONATI a seguito dell’emergenza sanitaria significherebbe mettere a rischio di sopravvivenza il 30% delle società dilettantistiche (stime della Lega nazionale dilettanti) ma la devastazione sarebbe reale anche per Lega Pro e Serie B. Anche diversi club di Serie A, quelli patrimonialmente meno solidi andrebbero in crisi. Molto dipenderà dalle misure che saranno messe in campo dal Governo per dare sostegno al sistema. A maggio le società a rischio di serie A erano 5, ad oggi si parla di almeno 15 club, questo per dare la misura di quanto corre il danno per la chiusura solo degli stadi al pubblico, figurarsi bloccare il gioco.

GIUSTO TAGLIARE STIPENDI AI GIOCATORI. Al netto dei giocatori delle categorie inferiori, molti hanno stipendi non lontani da quelli di un impiegato, per i quali la Lega ha chiesto il ricorso alla cassa integrazione (solo i tesserati che percepiscono fino a 50mila € annui), i top player devono fare uno sforzo. Ci sono accordi già stipulati dai calciatori di Juventus, Roma e Parma con i rispettivi club, in ogni caso il pericolo che possano scegliere di abbandonare la nave è bassissimo giacché la pandemia coinvolge tutto il mondo.

IL PROBLEMA Più GRANDE sarà l’impatto sul calciomercato e sul valore dei cartellini e quindi del crollo sulle trattenute fiscali che impattano direttamente sulle finanze nazionali. Si stima un crollo dei valori di mercato di circa il 30% rispetto ai livelli pre-crisi e di circa il 20% per i calciatori più giovani. Solo giocare parte della stagione 2020-2021 a porte chiuse procurerà danni ai ricavi assai maggiori di quelli imputati già alla stagione 2019-2020. Non solo non ci saranno garanzie di ingaggio ai livelli pre-crisi ma in generale gli scambi saranno ridotti all’osso. La maggior parte saranno prestiti per differire l’esborso di denaro a tutela dei conti, ma è piuttosto verosimile abbandonare l’idea che ci sia un mercato di riparazione vivace. Del resto il rischio di blocco del calcio non può far rischiare nessuno, a partire dai presidenti e i Cda delle società di calcio, passando per gli sponsor e le TV.

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