Roberto Mancini e l’arte di vincere

Posted By on Nov 19, 2020 | 0 comments


di Daniele Izzo

 

Sampdoria, Lazio, e ora la Nazionale. L’attuale Commissario Tecnico, Roberto Mancini, ha dimostrato di saper portare mentalità e attitudine a vincere in squadre che, per tradizione o momento, non erano più abituate a farlo.

Pochi professionisti nello sport italiano hanno dimostrato mentalità vincente come Roberto Mancini. Pochissimi. E forse nessuno è riuscito a tramutarla in delizioso e decisivo gesto tecnico utile alla vittoria di uno scudetto in piazze come Sampdoria e Lazio. Ma la forma mentis vincente, Mancini, la possedeva già quando poco più che adolescente, tra le fila felsinee, non esitava a contrastare Tarcisio Burgnich, mettendo in mostra una testa stracolma di talento (ancora) inespresso e quegli spigoli di permalosità e irrequietudine che caratterizzeranno la componente ‘sregolatezza’ della sua carriera.

Appena diciottenne decise inconsciamente di sposare la squadra che gli darà amore incondizionato: La Sampdoria. Una storia fatta di attaccamento, di passione da ambo le parti, che porterà la ‘Superba’ blucerchiata a veder Mancini diventare il record man di reti e presenze del club e il Doria a vincere Coppa delle Coppe e Scudetto. Proprio nel 1990/91, l’anno tricolore, la Sampdoria vinse 1-4 a Napoli e l’esaltazione per aver messo a segno uno dei gol più belli nella storia del calcio italiano fa sgorgare dalla bocca di Mancini ciò che fino a quel momento aveva trovato rappresentazione solo nei piedi: la mentalità vincente. Il fantasista corse verso Boskov urlando ‘Mister, siamo campioni!’: il tutto il 18/11/1990, sei mesi in anticipo rispetto all’effettiva vittoria dello scudetto. Mentre Mancini, dotato di estro e fantasia fuori dal comune, anticipava in campo le mosse dell’avversario, Roberto aveva già visto. Già sapeva: a fine stagione avrebbe macchiato di tricolore il blucerchiato.

Nel 1997, però, l’idillio finisce e Mancini lascia la sua amata. ‘Andrà in una grande’, il pensiero comune all’epoca. E invece lui scelse la Lazio. Scelse di portare la mentalità vincente in un’altra società che, per svariate ragioni, non la possedeva. Quel giugno fu, per i tifosi laziali, un Natale anticipato: il tanto agognato salto di qualità era vicino. E non tardò ad arrivare. Il 14 maggio 2000 il ‘Mancio’ consacrò alla storia biancoceleste, e alla sua personale bacheca, lo scudetto della pioggia e del vento. Il secondo per lui, e per la Lazio. L’inizio della festa coincise con la fine della carriera di uno dei giocatori più vincenti del calcio italiano, che ha fatto dell’arte della vittoria un mantra da esportare in piazze che, fino al suo passaggio, poco lo avevano conosciuto.

Il presente di Roberto Mancini si chiama Nazionale Italiana. La disastrosa gestione Ventura rese necessarie programmazione, ricostruzione e, soprattutto, la mentalità vincente persa sotto i fendenti vichinghi degli scandinavi che saccheggiarono Milano depredandoci delle risorse necessarie a volare in Russia. Ma il ‘Mancio’ è andato oltre. Tramite una risalita costante, vincente e, a tratti, esaltante ha restituito ai tifosi una squadra da tifare. Una Nazionale da sostenere. Nella serata di ieri è arrivata la qualificazione alle finals di Nations League dopo che nelle qualificazioni a Euro2020 erano arrivate 10 vittorie in 10 incontri disputati. Dieci come il numero che, da calciatore, riempiva le sue spalle. Dieci, come l’essenza del calcio targato Mancini: geniale, fantasioso, imprevedibile e soprattutto vincente.

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