Il grande sogno degli Europei, da Parigi a Londra: intervista a Paolo Valenti.

Posted By on Giu 30, 2021 | 0 comments


  1. (di Gianluca Guarnieri) Il sogno degli Europei. Un viaggio tra la prima edizione, datata 1960 disputata in Francia e quella attuale, itinerante,  del 2021, o forse dovremmo dire 2020. La storia di un torneo, che si è creato negli anni uno spazio enorme nelle menti e nei cuori degli appassionati di calcio, tanto da crescere ed estendersi sempre di più, divenendo un “Mondiale” solo per il Vecchio continente. Un’avventura con interpreti ed attori straordinari, da Riva a Gerd Muller, da Panenka e Rumenigge, fino a Van Basten, Zidane e Cristiano Ronaldo.  Questo è “Da Parigi a Londra” edito da Ultra Sport e firmato da Paolo Valenti, in libreria da Giugno; un volume  per studiare, conoscere ed approfondire una manifestazione che sta conquistando la gente. Abbiamo raggiunto l’autore e  fatto una chiacchierata, parlando di calcio, ricordi ed emozioni, legate alla “sfera di cuoio”.

     

     

    Paolo, raccontaci la genesi del tuo libro?

Lo scorso anno, facendo una veloce indagine, mi sono accorto che la letteratura sui campionati europei è piuttosto ridotta, a differenza di quella sui mondiali che presenta una vastissima possibilità di scelte. Così mi è venuta voglia di scrivere qualcosa che potesse dare la possibilità di informarsi sulla storia di una competizione che merita ampia attenzione. E, possibilmente, di riproporre le grandi emozioni che ha lasciato nel corso del tempo.

 

Il fascino degli Europei. Il tuo primo ricordo?

E’ legato all’edizione del 1980 che peraltro si tenne proprio qui in Italia. Un Europeo a cavallo tra due mondiali, quelli d’Argentina e di Spagna, per noi molto importanti ma nella quale la nostra nazionale non fu molto fortunata. Ricordo il gran gol col quale Tardelli ci permise di battere l’Inghilterra a Torino, seguito da un’esultanza molto simile a quella della notte di Madrid dell’11 luglio 1982. A rivederla oggi sembrano le prove generali…

 La tua edizione preferita. Quella che ti ha colpito maggiormente?

Quella del 1988, legata alla nazionale di Vicini. C’era un’atmosfera particolare, col vento della gioventù dell’Under 21 che aveva cominciato a soffiare sulla nazionale maggiore con l’obiettivo di vincere i mondiali del 1990. C’era tanta attesa e gli Europei dell’88 erano una sorta di prova di maturità per gli azzurri in vista dell’evento più importante che si sarebbe tenuto due anni più tardi.

 Il campione di tutte le edizioni che ti è rimasto impresso nella memoria?

Michel Platini. Nessuno seppe dare la sua impronta a un Europeo come fece lui nel 1984, portando la Francia a vincere il suo primo titolo internazionale.

 L’edizione da dimenticare, a tuo avviso…

Quella del 2004 che vinse la Grecia. Nulla contro gli ellenici, ai quali andavano fatti i complimenti per aver ottenuto un risultato probabilmente superiore al loro potenziale. Ma non espressero un calcio spettacolare e non proposero giocatori che rimasero nella storia della manifestazione. E l’Italia, pur avendo un’ottima squadra, si fermò al primo turno, fatta fuori dalle sue incertezze e dal “biscotto” confezionato da Danimarca e Svezia. Insomma, un Europeo in tono minore, almeno a mio avviso.

 L’aneddoto più divertente che hai scoperto nella ricerca per il tuo libro? 

Quello che mi ha raccontato Di Livio relativo a Euro 2000. Mi ha detto che, nel tragitto tra l’albergo e lo stadio, alla prima partita gli azzurri avevano deciso di vedere sul pullman il film “Febbre da Cavallo” perché ci voleva un’ora per arrivare. L’esordio fu positivo e quindi, per scaramanzia, nei successivi trasferimenti, anche se molto più brevi, almeno una scena del film doveva essere rivista!

 L’Italia di Mancini. Cosa può fare, nei quarti? 

Il Belgio è una delle squadre favorite per la vittoria finale. Sarà una partita difficile, dove risulterà determinante bloccare Lukaku e impedire che gli arrivino gli assist giusti per innescarlo. La squadra sta maturando, è unita. Sono fiducioso che si possa fare comunque una bella figura. E magari vincere.

 La più grande delusione. Ovvero, chi ha gettato l’occasione?

Credo che la risposta sia obbligata: la finale del 2000 contro la Francia, con quel gol subito a pochissimi secondi dalla fine, quando gli organizzatori avevano già messo le coccarde tricolori intorno alla coppa. Una ferita che si potrà rimarginare solo quando riusciremo a vincere nuovamente l’Europeo.

 La partita più bella nella storia degli Europei?

Per me sono due: quella che l’Italia vinse nel 1980 a Torino con l’Inghilterra di cui ti ho detto prima e la semifinale del 2012 disputata contro la Germania risolta da una doppietta di Balotelli. Oltre al valore della prestazione, fu anche l’ultima partita della nazionale che vidi insieme a mio padre, per cui ne conservo un ricordo particolare.

 Il futuro della competizione. Itinerante o no?

Penso che la competizione itinerante rimarrà un unicum, una formula che fu scelta a suo tempo da Platini per celebrare quello che avrebbe dovuto essere il sessantesimo compleanno degli Europei. Ma le difficolta logistiche dettate da spostamenti troppo lunghi non penso che si possano sottovalutare. Per i vantaggi che comporta, invece, credo che la gestione congiunta di più paesi limitrofi resterà l’opzione preferita per il futuro: permette di condividere i costi e di creare un coinvolgimento di pubblico comunque esteso a più di un solo Paese. In questo senso si è mossa anche la Fifa assegnando il mondiale del 2026 a Stati Uniti, Messico e Canada. 

 

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