Giorgio Dusi
Un’orgogliosa guastafeste. Se volessimo definire la Corea del Sud versione 2018, è difficile trovare qualcosa di più adatto. Una guastafeste, perché la Germania pensava – come del resto chiunque – di passare senza farsi troppi problemi, di vincere e aspettare notizie da Messico-Svezia. E lo hanno pensato tutti a fine primo tempo, un po’ meno a metà ripresa, nessuno quando è iniziato il recupero. E quando Kim Young-Gwon ha appoggiato in porta la palla vagante, toccata in precedenza da Kroos, l’incubo tedesco ha preso forma, così come il sogno coreano. Non di passare il turno, ma di tornare a casa con tanto orgoglio.
L’immagine della partita è la panchina della Corea del Sud che segue Heung-Min Son, lanciato verso la porta per poter appoggiare in rete il 2-0 e togliere ogni dubbio sull’esito della partita. Un abbraccio generale che riassume tutto quello che è stato lo spirito di una nazionale tecnicamente e tatticamente limitata, ma con tantissima determinazione nel riuscire a spingersi fino al proprio limite. E farlo davanti ai campioni del mondo in carica, eliminandoli, dà alla vittoria un sapore troppo speciale per essere dimenticato e messo in secondo piano. Magari anche dal governo, che potrebbe riconoscere il merito sportivo e “graziare” chi doveva andare a prestare il servizio militare nel pieno della carriera.
Era stato questo uno dei temi della vigilia: evitare di subire una sconfitta pesante, cercare di limitare i danni e possibilmente far bella figura. La squadra di Shin Tae-Yong è andata molto oltre questo. Si è dimostrata organizzata in campo, con due attaccanti sempre in pressione ma anche pronti a ripartire col supporto degli esterni del 4-4-2. La Corea si è presentata in campo con concetti semplici e chiari, ma spinta sempre e comunque dall’orgoglio, dalla voglia di andare oltre. E alla fine l’obiettivo è probabilmente stato raggiunto. Perché nella storia, in qualche modo, ci sono riusciti a entrare.