Matteo Quaglini
L’artiglieria in una battaglia sposta l’equilibrio e decide, alcune volte, le sorti e i destini degli eserciti tra loro rivali. Si tratta di una vecchia teoria napoleonica, che l’imperatore applicò sempre con estremo successo nei suoi memorabili scontri campali. Nel momento in cui occorre minare le certezze dell’avversario e l’azione è pari, l’artigliere corso usava i cannoni per rompere la breccia delle muraglie nemiche. Così di metafora in metafora sembra uguale l’uso nella pallavolo della battuta in salto e, nel calcio, della punizione diretta: quella che i cannonieri scaraventano oltre la barriera e dentro la porta avversaria.
E’ il momento in cui il gioco è fermo, com’erano ferme le truppe, e un uomo solo è sulla palla pronto a batterla lontano tirandola con tutto il peso del corpo. Esattamente come facevano gli artiglieri in battaglia quando preparavano la palla infuocata da lanciare sugli eserciti nemici. E’ anche il momento in cui gli altri si dispongono in barriera, i ricettori in linea, il portiere tra i pali, con un obiettivo semplice e decisivo nella sua chiarezza: respingere, deviare, intercettare il dardo indirizzato a trafiggere il cuore della loro bandiera. Mentre i cannonieri stanno lanciando per fare gol o mettere a terra il punto decisivo.
Già i cannonieri. In una squadra servono e al contempo decidono perché destabilizzano, squilibrano, rendono asimmetriche le linee più stabili del gioco che si è sviluppato sino ad allora, quando cioè la palla si ferma e inizia un assolo dentro una battaglia collettiva. Li chiamano specialisti per questo perché hanno nei piedi o nelle mani il pallone che può risolvere una partita complessa.
L’inizio della stagione pallavolistica ha messo in mostra uno di questi grandi cannonieri Wilfredo Venero Leon attaccante cubano naturalizzato polacco e “sanpietroburghista”, ex bomber dei quattro volte campioni d’Europa in carica dello Zenit e da questa stagione alla Sir Perugia campione d’Italia, con un gran biglietto da visita: quello di essere tra i migliori tiratori in salto del mondo. Cannoniere assoluto tra i cannonieri.
In Super coppa le sue cannonate contro Trento hanno fruttato punti diretti, ma non hanno rotto l’equilibrio perché Grebennikov il libero francese ha tenuto e Leon ha solo minato senza togliere le sicurezze dei giocatori di Lorenzetti, poi volati in finale. Nelle due prime partite di campionato ha continuato a bombardare. Il segnale è arrivato: quest’anno sarà una battaglia anche dai nove metri, tra i cannonieri della Wagram sportiva dei palazzetti di pallavolo. Com’era duello rusticano tra i migliori tiratori di punizioni di potenza e i portieri dagli anni ’70 ai primi 2000, con la postilla di oggi chiamata Cristiano Ronaldo.
Ecco dunque la congiunzione che lega Leon a Koeman, Zaytsev a Roberto Carlos, Rivelino a Ngapeth, Atanasijevic a Mihajlovic, sono tutti cannonieri della nave corsara, tutti artiglieri napoleonici, tutti arcieri della centuria romana, tutti campioni del tiro libero potente che piega la resistenza della linea nemica.
Prima di raccontare i momenti migliori delle loro cannonate, occorrono alcune premesse fondamentali e incrociate tra i due gesti tecnici. La prima riguarda la battuta in salto. Viene fuori a metà anni ’80 e diventa quasi subito un fondamentale d’attacco, anzi il primo attacco di una squadra. All’inizio la battuta serviva per iniziare il gioco, poi piedi a terra o salto flot divenne tattica, quindi col salto totale si trasformò in colpo offensivo puro. Forte, potente e precisa deve a poco a poco rompere la linea di ricezione, minare la sua continuità nel ricevere palloni positivi, inibire il gioco veloce, creare pericoli. Per questo deve essere anche precisa perché deve trovare la profondità e l’angolo giusto dove infilare il pallone e “segnare” il punto diretto. Esattamente come la punizione nel calcio, e siamo all’assioma numero due: anche questa deve essere forte nello spazio, sopra o tra la barriera e veloce per togliere al portiere in tuffo i centimetri necessari a deviare il pallone con la mano.
Terzo assioma: la tecnica. Sia nella battuta in salto che nella punizione diretta il concetto è di far percorrere al pallone uno spazio lungo, di creare con la sfera una parabola o diretta o ricurva, e di colpire “la Vieja” per dirla con Di Stefano a mano aperta o col collo del piede dominante. Forte più forte che si può. Per far questo servono due cose, correre verso la palla ferma, avere gli appoggi solidi, impattarla avendola avanti. Gambe veloci per i tre passi di rincorsa e salto massimo, piede perdo vicino al pallone e slancio della gamba, equilibrio con le braccia e corpo in avanti, occhi fissi sul pallone.
Immaginateveli adesso tutti insieme a tirar cannonate – come se fossero nel sequel tarantiniano di Hatefulleight – dove ogni colpo è decisivo. Se guardiamo all’oggi vediamo come Wilfredo Leon possa essere accostato a Ronaldo: entrambi capaci di imprimere potenza al pallone partendo in modo diverso. Il cubano raccolto nelle spalle con il pallone in mano sembra quasi ricurvo e chiuso in se stesso, ma poi quando la palla è in area si apre stendendo tutti i muscoli e allora è “rombo di tuono” pallavolistico a 180 km/h come contro Latina alla prima di campionato. Ronaldo suo omologo invece mette il corpo aperto, statuario e imperioso fa alcuni passi all’indietro poi con la partenza s’inarca su se stesso e colpisce la palla di collo quasi scavandola. Il pallone esce veloce e non cambia traiettoria, ma parte e finisce alto dove nemmeno il grande Buffon, fuoriclasse tra i portieri, è mai arrivato a negargli il gol.
Leon e Ronaldo hanno la stessa traiettoria alta e forte, mentre Atanasijevic, Kolarov e Mihajlovic imprimono alla palla la loro diversità: quando parte il dardo è ricurvo, basso, tagliato. Poi prende quota e scavalca la barriera passando velocissimo vicino al portiere o al palo, il gol è sicuro: matematica della cannonata. Sembrano proprio battute in salto o punizioni che vengono da un mondo opposto al nostro – sono forti sì ma è il loro essere taglienti come rasoi che le rende imprendibili – orientale, slavo con una concezione del tiro legata all’acuminatezza, alla chirurgia della potenza.
Quando Atanasijevic tira a tutto braccio è sempre punto e la ricezione si apre con le deviazioni che aiutano anziché respingere o far rimbalzare per il palleggiatore. Sembrano veramente le parabole di Mihajlovic acuminate in Stella Rossa-Sampdoria a Belgrado o nelle battaglie romane sulla sponda eretica e suggestiva dell’aquila laziale. Dagli acuminati passiamo ora ai tricannoni pirateschi Matthaus e Kasiyski. Uno tedesco l’altro bulgaro. Re Matej tirava come re Lothar con una rincorsa lunga quasi che tutto il corpo arrivasse sulla palla e fosse capace di far uscire dritta per dritta la traiettoria a spingere anche il portiere o il ricettore in porta o a terra. Prendete Inter-Atalanta quarto di finale Uefa del 1991, Ferron non vede la palla e la sua è contraerea senza reazione. I sudamericani per questo tipo di traiettorie hanno la parola giusta: missil.
Dai tiratori pirateschi a quelli che sfruttano la barriera o la ricezione per aumentare la loro potenza: Dennis mancino cubano-italiano che frantumò Trento colpendo le braccia dei ricettori avversari e la grande ala sinistra del Brasile 1970 Rivelino più Chilavert. Guardano la barriera e la ricezione avversaria in un punto, quello giudicato debole e li tirano, non c’è solo la botta ma si cerca anche lo spazio che gli altri non hanno calcolato. Tirò così Rivelino – uno dei più grandi sinistri del calcio – contro la Cecoslovacchia al mondiale messicano del ’70, nessuno vide la palla finché non fu gol. Tirava così Josè Luis Chilavert altro mancino che punì l’Argentina da quaranta metri calciando sul lato del primo in barriera, cercando cioè uno spazio nascosto.
Quando nella finale di Coppa Campioni ’92 chiamò punizione al limite dell’area tutta la Sampdoria si strinse intorno all’arbitro a protestare, già temendo l’olandese volante Koeman. Quando lo zar Zaytsev andò in battuta la migliore ricezione del mondo quella americana si chiuse a farsi forza. Quando Batistuta e Roberto Carlos andavano sul pallone anche le barriere più inattaccabili del globo, quelle di Barcellona, Milan e Francia si agitavano per partire prima e chiudere lo spazio.
Tutti questi sono i cannonieri che non guardano la barriera, la trafiggono. E battuta dopo battuta, tiro dopo tiro acquisiscono maggiore potenza, maggiore linearità, maggiore precisione. Per batterli bisogna aggredire la palla non aspettarla. Tre passi e la palla viaggia in mezzo alla barriera con Pagliuca steso al massimo per la prima coppa campioni catalana dal respiro olandese. Tre passi e quattro ace consecutivi per battere gli inventori americani della ricezione a due, un sistema rivoluzionario alla Michels e alla Sacchi sconfitto dal conservatorismo della potenza. Tre passi e un esterno collo sinistro per dire che nemmeno a Madrid il Barcellona possa uscire senza ferite. Tre passi e una mitraglia per mettere sotto la traversa il destro più famoso della jungla del calcio a San Siro il tempio delle punizione “morbide” di Mariolino Corso. Certo Zaytsev, Roberto Carlos, Batistuta, Leon, Cristiano Ronaldo, Koeman, Matthaus e gli altri cannonieri di questa rassegna sarebbero piaciuti all’imperatore dei francesi che gli avrebbe presi nel suo esercito, come artiglieri naturalmente.